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Giordano Bruno Guerri, un anarchico identitario per cambiare la cultura

Corrado Ocone
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Se Giordano Bruno Guerri diverrà ministro della cultura, la sua nomina sarà non scontata, non facilmente contestabile e sicuramente identitaria. Non scontata, perché da quando Guerri è diventato presidente (2008) e poi anche direttore generale del Vittoriale (2014), cioè la casa-museo di D'Annunzio, non si può dire che sia in prima linea sui giornali (a cui pure continua a collaborare): il suo ruolo pubblico a livello centrale è quasi inesistente. Non contestabile, perché la sua profonda e non banale cultura, attestata fra l'altro da una vastissima bibliografia, è non accademicamente declinata (per fortuna! ) ma scientificamente inoppugnabile, apprezzata fra gli studiosi veri a destra come a sinstra. Senza contare che, proprio la gestione esemplare del Vittoriale, insieme ad altre precedenti esperienze mangeriali di successo (ad esempio come direttore di Storia illustrata e direttore editoriale della Mondadori) ne fa uno dei pochi uomini di cultura che sa unire le idee alla loro realizzazione. Una personalità, la sua, perfettamente in linea, quindi, con quell'"alto profilo" che Giorgia Meloni ha rivendicato fin dal primo momento per il suo governo. E una nomina infine identitaria, sia perché Guerri ha legato il suo nome e i suoi studi ad autori e movimenti di destra, conservatori e cattolici, sia perché si è sempre posto il problema di offrire una immagine più larga e inclusiva dell'identità culturale italiana rispetto a quella accreditata dalla sinistra egemone.

 

 

 

INTERVISTA

Per capire il carattere di questa atipica (per ; l'Italia) figuradi intellettuale, credo sia utile far riferimento ad una sua intervista di qualche anno fa: al giornalista che gli chiedeva perché D'Annun. zio passasse per un padre del fascismo, mentre in realtà egli non molto aveva a che vedere con il regime mussoliniano, egli rispose che «l'interpretazione errata è dovuta alla diffusione, mai o poco contestata, di una vulgata che stiamo cambiando, giorno dopo giorno, con il no- stro lavoro». In queste poche righe ci sono almeno tre tratti peculiari della sua personalità: la lotta alle interpretazioni errate; quella alle vulgate storiografiche; la convinzione infine che esse, per essere smontate, esigono, come l'impresa culturale in genere, di un lungo e paziente lavoro.

 

 

 

D'ANNUNZIO

Non c'è dubbio che D'Annunzio sia la personalità a cui Guerri abbia ispirato la più parte del suo lavoro, teorico e pratico. Di lui egli forse ammira soprattutto la capacità che ebbe di attraversare i confini intellettuali e politici, senza porsi troppo il problema di posizionarsi con delle identità forti: quelle, sembra dirci Guerri, lasciamole alla sinistra, alla sua idea di una cultura che, piuttosto che servire la creatività e spontaneità individuale, vuol servire ad un fine pratico-politico. Che perciò diventa sterile, prevedibile, ovvia (in una breve esperienza come assessore comunale in Calabria, Guerri volle che il suo assessorato fosse intitolato al "dissolvimento dell'ovvio"). D'Annunzio, per Guerri, con le sue imprese eroiche, o con la costituzione del Carnaro da lui redatta, annuncia il Sessantotto, quello non politicizzato ma libertario e libertino a cui aveva partecipato a Milano (ove lui, di famiglia povera del senese, si era trasferito per studiare alla Cattolica). Ma oltre ai tanti libri sul Vate, di Guerri si devono ricordare quelli su un altro grande irregolare, Curzio Malaparte, il libro su Marinetti, le biografie (il genere in cui eccelle) sui "fascistissimi" Galeazzo Ciano e Italo Balbo e quella sul "fascista critico" Giuseppe Bottai (di cui ha pure curato la pubblicazione degli straordinari Diari tenuti dal 1944 al '48). Di quest' ultimo, sopr attutto, Guerri mostrò fino in fondo la controversa figura di "pontiere" culturale fra fascismo e post-fascismo, di "liberalizzatore" dello stesso fascismo, di organizzatore e divulgatore di alta cultura, di direttore di quella che è forse la più raffinata rivista culturale italiana del secolo scorso: Primato. Qualcuno, sono sicuro, accuserà Guerri di "revisionismo", se non addirittura di fascismo. Nulla più lontano da lui, ateo, anarchico e contro la pena di morte, che l'idea di riproporre quell'ideologia illiberale. Sua è però senza dubbio la convinzione che l'antifascismo militante, al pari del fascismo (macchiettistico) di certi nostalgici, ha portato molti danni alla storiografia, allo studio serio di un periodo storico non lontano e legato da mille fili al nostro. Al contrario dell'intellettuale di sinistra, quello di destra, ha detto Guerri, è individualista, non sa lavorare in squadra. È un handicap, ma forse anche un po' un merito, dal suo punto di vista. 

 

 

 

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