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Abobakar Soumahoro? Chi di moralismo ferisce, di moralismo perisce

 Aboubakar Soumahoro

Pietro Senaldi
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Fa più pena ora, Aboubakar Soumahoro, di quanto non ne abbia mai suscitata quando di lavoro faceva il bracciante prima e il paladino degli ultimi poi, e girava prima i campi e poi i corridoi del Parlamento con gli stivali sporchi di fango e il pugno chiuso, ebbro di parole scelte per far sentire in colpa l'Italia. Ci accusava di sfruttare i suoi fratelli al Sud, anche se lì non li avevamo portati noi ai lavori forzati, ma le navi delle organizzazioni umanitarie, d'accordo con gli scafisti, e la propaganda irresponsabile di chi aveva illuso quei poveracci di essere risorse di cui c'è bisogno. Appena entrato alla Camera, sul deputato di Sinistra Italiana e Verdi, che ora entrambi i partiti ripudiano e bollano come «un errore», è crollato il mondo, ma il suo mondo. Si è scoperto che la cooperativa della suocera anziché fare accoglienza accumulava soldi sfruttando gli immigrati, prendendo fondi pubblici senza pagare chi ospitava e forse, è il sospetto, distraendoli in un resort in Ruanda, del cognato di Aboubakar.

 

 

 

Un pezzo alla volta, è poi emerso di tutto sulla moglie dell'onorevole, la bella Liliane Murekatete. Sedicente nipote del premier ruandese, così si era presentata quando lavorava a Palazzo Chigi ai tempi di Berlusconi. Ma la signora si è rivelata anche collezionista di vestiti e borse d'alta moda, postava su internet ai ritmi di Chiara Ferragni nel mentre che lavorava con la madre, suocera di Soumahoro, nella cooperativa dell'orrore, quella «dove non ospiteresti un cane», copyright di Elena Fattori, ex senatrice di Sinistra Italiana. Ora secondo il marito, che però ammette di «aver la colpa di essere stato troppo lontano da casa e aver vigilato poco», Liliane è disoccupata, anche se è grazie a lei che la coppia ha avuto il mutuo per la villetta nella periferia residenziale di Roma dove abita. Buone ultime, sono spuntate foto esplicite della donna in pose sexy. Nella prima difesa della consorte griffata, Soumahoro aveva parlato di «diritto all'eleganza»; ora estenderà il concetto a «diritto alle cene eleganti».

Insomma, il deputato ex bracciante, - ma lo fu davvero?, perché a questo punto è lecito dubitare di tutto - o è un fesso che non intuisce quel che ha sotto il naso, o è un furbacchione che si volta dall'altra parte per non vedere ma non toglie cappello da dove l'ha attaccato neppure quando, grazie alla narrazione di sé che è stato capace di vendere a Fratoianni e Bonelli, disattenti in casa propria ancora più del loro beniamino che hanno messo in lista, avrebbe i mezzi per farlo. Oppure, accecato dall'amore, ha più semplicemente perso la testa e con essa la carriera.

 

 

 

Di certo la lezione maggiore della vicenda non è per lui, ma per chi l'ha candidato e chi l'ha sostenuto. Aboubakar è il Gianfranco Fini del centrosinistra, rovinato probabilmente, sputtanato di certo, dalla sua nuova famiglia, messa su lasciandosi alle spalle il primo tentativo nuziale. L'ex leader di An approfittò delle disavventure di letto di Berlusconi per sfidarlo ma scoprì che l'olgettina forse se l'era portata in casa lui, con tanto di parentado. Soumahoro ha puntato il dito contro il mondo e il mondo gli ha fatto da specchio, rimandandogli un'immagine famigliare peggiore di quello che vedeva e denunciava in casa d'altri, e ora si chiede se l'orco non è a fianco a lui, anziché dirimpetto. Il tutto non per sferrare il calcio dell'asino, perché noi di Libero gliel'avevamo assestato già quando pareva essere un cavallo di razza, ma per ricordare ai soliti compagni che amano ergersi tre metri sopra la feccia del centrodestra che chi di moralismo ferisce, di moralismo perisce, tra le risate dei nemici e la riprovazione degli amici, che per assolvere se stessi ti danno sempre la bastonata più forte. 

 

 

 

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