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Giovanni Minoli: "Troppi attacchi strumentali, stampa senza credibilità"

Pietro Senaldi
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«Giorgia ed Elly leader dei due principali partiti italiani? Sarà una rivoluzione copernicana. Anzi, lo è già. Quanto agli esiti, li vedremo. Comunque, è iniziato a tutti gli effetti il tempo delle donne».

La chiave del successo?
«Se ognuna delle due riuscirà a interpretare l’Italia attraverso se stessa, cioè attraverso quello che sono davvero le rispettive idee».

Previsioni?
«Con il suo “non sono ricattabile” detto a Berlusconi subito, all’inizio del governo, Meloni ha scardinato quello che era il modello di gestione del centrodestra, ha chiarito subito che si faceva a modo suo».

Quanto alla Schlein?
«Adesso tocca a lei riuscire a fare un percorso che liberi il Pd dai suoi padrini storici. Ce la farà se le esigenze della gestione del potere non la cambieranno».


A me pare che lo sforzo della Meloni sia, arrivando da destra, liberarsi di tutti i fardelli che possono ostacolarle il percorso...
«Lei si sta muovendo per fare un grande partito conservatore, lo ha dimostrato fin da quando guidava da sola l’opposizione ma sosteneva il governo Draghi nelle questioni decisive. Nel suo progetto è facilitata da qualche errore di Berlusconi, che le sta aprendo la strada verso i Popolari Europei».


La sinistra viceversa, ogni volta che cerca di costruire un partito progressista alla europea viene sempre ributtata indietro verso le nostalgie comuniste da qualche spiritello maligno...
«Perché lì vince sempre la Ditta: la fusione a freddo tra ex diccì della Margherita ed ex comunisti diessini non ha funzionato e vince sempre l’eredità rossa, il cui nocciolo duro resta quello preesistente la caduta del Muro di Berlino».

Quindi la Schlein si candida a guidare un partito a vocazione minoritaria?
«Secondo me, sì: una grande sinistra radicale di massa, più attenta ai diritti civili che a quelli sociali, sostanzialmente minoritaria nel Paese».

Quindi la Meloni avrà più problemi dagli alleati che dalla Schlein?
«Non credo che gli alleati saranno un grande problema per lei, perché ci sono sempre Renzi e Calenda sulla porta, pronti a sostituire chi lascia e ansiosi di raccogliere l’eredità di Berlusconi, che non avendo trovato un sostituto con il “quid” a un certo punto lascerà molti voti in libera uscita».

Berlusconi attacca la Meloni perché la pensa diversamente da lei o perché cerca visibilità?
«Berlusconi è un uomo concreto ma anche un sognatore, che sogna l’impossibile per trasformarlo in realtà. Questa sua tendenza è aumentata dalla consapevolezza di essere all’ultimo tuffo. Lui crede davvero di poter ripetere il miracolo di Pratica di Mare, perché in politica estera è stato uno statista. In politica interna invece è stato troppo condizionato dalle proprie vicende. Per questo alla fine la Meloni lo ha superato e riuscirà a far fare il salto al centrodestra».


In un’Italia politicamente «atipica», caratterizzata dal vizio di non fare mai i conti con la storia, la Meloni pare la sola ad averli fatti. «Il suo processo di revisione della destra lo ha compiuto già ai tempi di Almirante, e comunque lo ha portato definitivamente a termine Fini, tra gli applausi anche della stampa progressista» incalza Giovanni Minoli, senatore a vita in Rai, dove lavora da più di cinquant’anni. Diverso per la sinistra, che venne risparmiata da Tangentopoli e non fu costretta a rispondere del suo consociativismo nella Prima Repubblica né della sua matrice comunista, visto che il comunismo proprio in quegli anni crollò in tutto il mondo. «In Italia si cerca sempre un capro espiatorio, per nascondere il passato e le responsabilità» spiega Minoli. «L’ultimo che il Pd ha scelto è stato Renzi, al quale, anche per colpa sua, è stato messo in conto ogni errore e ogni delitto. Prima, la sinistra scelse Craxi, dietro il quale nascose le proprie ambiguità. E prima ancora tutti scelsero Mussolini, ammazzato senza processo cosicché in molti si potessero rifare una verginità».

È per questa incapacità di analizzare la storia che non saremo mai un Paese di moderati ma ci scanneremo sempre tra guelfi e ghibellini?
«Noi siamo dei moderati radicali, fin dai tempi della Democrazia Cristiana. Anche i grillini sono figli di un radicalismo di centro. Le due chiese del Paese, quella cattolica e quella comunista, sono ancora presenti in qualche modo. Per questo, se le riesce l’impresa di costruire un partito conservatore, la Meloni può essere davvero un leader di rottura, aiutata dall’estremismo della Schlein».


La accusano di avere una classe dirigente debole...
«Non posso dare una risposta sui singoli, non li conosco abbastanza. Certo sessant’anni di opposizione possono costruirti una mentalità che è poi difficile cambiare quando arrivi al governo. Anche per questo penso che la Meloni abbia scelto Mario Sechi come portavoce. Penso che avrà un ruolo chiave nel coordinare le uscite di tutti i ministri: ancora non tutti hanno capito che a volte una frase detta senza pensarci troppo può diventare una cosa pazzesca».

C’è una stampa troppo faziosa contro il governo Meloni?
«Molti attacchi sono stati strumentali e poi, nell’impossibilità di contestare il premier, che presta poco il fianco, se la prendono con i suoi ministri».

L’eccesso di aggressività non rischia di fare perdere credibilità?
«La stampa in crisi si radicalizza in cerca di un’identità forte. L’importante è avere una fazione, magari minoritaria, ma fidelizzata. I giornali, tutti, stanno cambiando natura, non servono più per saperne di più o come teatro del confronto di idee ma solo per confortare i lettori nelle loro idee e rafforzarle. Certo, la credibilità se ne va a quel Paese».

Perché la politica soffre così tanto questi attacchi?
«Perché i media hanno vinto sulla politica, la televisione ne ha condizionato le regole».

Vale anche per i social?
«I social ci stanno provando, ma sono meno credibili perché non c’è intermediazione. Finché non paghi, non scegli e quindi chi parla è meno autorevole».

E i talkshow, fanno informazione?
«In genere non mi piacciono. Hanno trasformato l’uso delle parole, che sono diventate da strumento di comprensione a proiettili da sparare contro l’avversario. Ma i proiettili uccidono, non informano. E poi hanno creato una compagnia di giro che tende a sostituire la politica. Alcuni giornalisti ormai sono osi credono più importanti dei ministri, con la differenza che non possono decidere niente».

Se ha perso la politica ha perso anche il giornalismo?
«Il giornalismo non perde, muta. Ora si sta trasferendo sulle serie televisive, che sono una nuova fonte di notizie e indirizzo dell’opinione pubblica. Penso a “Fauda”, una serie israeliana meravigliosa, non per caso scritta da uomini del Mossad».

In che stato è il giornalismo televisivo nel complesso?
«Giornalismo televisivo è una parola equivoca, non c’è nulla di più misto e contaminato del giornalismo televisivo. Per questo penso che la Rai abbia fatto un grande errore nel ristrutturare i palinsesti per genere, perché questi non esistono più, sono per definizione integrati».

Un suggerimento, da grande mestierante?
«Oltre che il tempo delle donne, questo è il tempo degli inediti».

Editoriali?
«No, generazionali. Abbiamo milioni di persone che vivono e vivranno in pensione per trent’anni. Sono una riserva per la televisione, che deve RIpensarsi anche sudi loro».

Siamo in tempo di nomine...
«E qui si svelerà il piano industriale e culturale della Meloni. A me, per esempio, piace molto il riferimento a Mattei, grande imprenditore ma anche grande uomo politico, appartenente a un’aria impegnata che aveva una precisa idea del ruolo dell’Italia nel mondo».

Le nomine sono sempre oggetto di strenue trattative...
«Da quello che ho capito penso che la Meloni intenda procedere con l’unico criterio della qualità, premiando chi ha dimostrato di saper fare bene anche fuori dal suo stretto giro di rapporti. Non ho la sensazione che ci sarà un mercato delle vacche». 

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