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Benito Mussolini? Così la sorella Edvige salvò gli ebrei dal lager

Marco Cimmino
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Le leggi razziali del 1938, indegna decalcomania di quelle di Norimberga, che, tre anni prima, avevano trasformato l’antisemitismo nazista in norma giuridica, sono ancora oggi un fenomeno storico complesso e, per certi versi, difficile da spiegare. Lo stesso Mussolini aveva, in diverse occasioni, ribadito l’assenza di elementi antisemiti nella politica fascista, arrivando perfino ad ironizzare pubblicamente sulla barbarie xenofoba germanica, contrapposta alla civiltà latina. A maggior ragione, dunque, la svolta razzista del fascismo rappresenta uno degli snodi più controversi della storia del regime. Senza dubbio, l’avvicinamento dell’Italia al Reich tedesco, dopo il 1936, ha fondamenta politiche e militari sviscerate dalla storiografia: su quelle leggi vergognose tuttavia permane una sorta di nebbia, angoli oscuri che non permettono di metabolizzarne la genesi fino in fondo.

 

 

Un fatto è certo: se l’apparenza normativa delle leggi razziali è draconiana e l’elemento discriminatorio e persecutorio vi è sancito a chiare lettere, altra cosa ne fu l’applicazione, che venne largamente boicottata, tanto dal sentimento popolare che perfino da certe strutture istituzionali. Molti Italiani remarono contro e questa opposizione trovò, sovente, una sorta, se non di approvazione, quanto meno di bonaria tolleranza da parte dello Stato fascista. Stupisce, perciò, fino a un certo punto la bellissima vicenda raccontata da Alberto Szego a Cristina Petit e divenuta un libro a quattro mani, intitolato “A casa di Donna Mussolini” ed edito da Solferino. La storia è, in un certo senso, la metafora di quanto scritto qui sopra: una famiglia mista, lui ebreo ungherese e lei italiana, deve nascondersi, durante la guerra, per evitare la deportazione. La rete di soccorso che, in quegli anni terribili e convulsi, aiutava gli Ebrei a sfuggire dal loro terribile destino, condusse i due fuggitivi, Lajos e Maria, insieme ai figli, a rifugiarsi nella spaziosa casa di una generosa signora di Premilcuore, Edvige Mancini: la sorella minore del Duce.

 

 

Vada sé che il colpo di teatro, scritto nel copione dal destino, ma tanto perfetto da sembrare concepito ad arte, consiste proprio in questo incontro di equivoci: Edvige Mussolini Mancini non sa che i suoi protegés sono Ebrei né loro, almeno inizialmente, immaginano di essere ospitati dalla sorella del capo del fascismo. A rendere ancora più paradossale la situazione vi è il fatto che, all’ultimo piano della grande casa, si è installato un comando tedesco. Nonostante la rivelazione delle proprie opposte condizioni, Edvige non tradirà gli Szego e tra loro si creerà un rapporto di amicizia e confidenza. La storia è diventata un saggio: perché quella storia incredibile è del tutto vera. E credo che poche altre vicende, come questa, possano rappresentare la metafora dell’antisemitismo italiano e perfino di quello eminentemente fascista: una testimonianza di come la realtà fenomenica, spesso, sia cosa affatto diversa dalle fonti ufficiali, dalla rimbombante enfasi dei proclami di regime.

Gli Italiani non erano e credo non siano, neppure oggi, un popolo incline alla xenofobia. Sicuramente, si sono mostrati capaci di gesti orribilmente razzisti e alcuni tra loro hanno introiettato ciecamente le dottrine antiebraiche del nazismo. Tuttavia, la zona grigia, il grosso del pubblico, non ha aderito, se non formalmente, alle leggi del 1938, così come, si adattava di buon grado ai sabati del regime o alle adunate oceaniche: e, anzi, spesso, nella vita quotidiana, i nostri compatrioti hanno dimostrato umana pietà e solidarietà concreta, verso quei loro concittadini che avrebbero dovuto ritenere stranieri, se non nemici. La storia è piena di questi controsensi. Eppure, Donna Edvige non venne premiata per il suo altruismo: alla fine della guerra, suo figlio Giuseppe, 20 anni, venne fucilato dai partigiani garibaldini a Rovetta, insieme a 42 suoi giovani compagni della “Tagliamento”. Lo uccisero per ultimo, perché nipote del Duce. Chissà se, conoscendo la storia degli Szego, lo avrebbero graziato. Probabilmente, no. 

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