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Testamento Berlusconi, la finezza giuridica per evitare guai a Marta Fascina

Renato Farina
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 Il terzo testamento, scritto e consegnato a Marta Fascina il 19 gennaio scorso, è stato la vera uscita dal campo di Silvio Berlusconi. Sì, il terzo. Tre testamenti, brevi però, meno di così sarebbe stato impossibile. Nessuna delle sua volontà in progress contraddice le precedenti. Ma riconferma la sua decisione concepita e messa per iscritto a 71 anni, il 2 ottobre 2006: tutto ai figli, tutti e cinque. Del resto lo impone la cosiddetta legittima, e però per non destabilizzare l’azienda in una per forza di cose impraticabile guida paritaria a cinque, lascia il primato ai maggiori, Marina e Piersilvio. Non c’entra la graduatoria degli affetti - se conosco come credo il Cavaliere, «le dita di una mano, prova a tagliarne una, se riesci», mi disse – e neppure che siano di primo o di secondo letto, quasi abbia giocato un giudizio razziale su quale madre dei suoi figli abbia trasmesso una genetica più meritevole di premio. Il discorso è un altro. Fatto salvo che un’azienda funziona se c’è una gerarchia, chi ha lavorato più tempo nella ditta? Marina e Pier Silvio hanno timbrato per assai più anni il cartellino, maggiori pesi portati sulle spalle e posata una quantità superiore di mattoni per far grande la casa di famiglia. Buon senso. Strano però che già nel 2006 prevedesse di aver liquidato la moglie Veronica, senza neppure considerare l’ipotesi che le spettasse la quota che per legge tocca al coniuge, sciupando l’algoritmo che avrebbe garantito il dominio ai primogeniti. Profezia auto-avveratasi...

 

 

 

 

QUEI GIORNI DI GENNAIO

Ma è il terzo, quello finale, a dare armonia agli ultimi battiti del cuore di quest’uomo e a mostrarcelo mentre ci saluta per andarsene in spazi misteriosi. Immaginiamolo. È lui stesso a scrivere la sceneggiatura per farci sedere accanto a lui sul divano, mentre l’alba fuori non arriva mai. Traccia con la stilografica la sua situazione. Si rivolge ai figli, ma chiama lì tutti noi accanto a sé. «Sto andando al San Raffaele, se non dovessi tornare Vi (maiuscolo!) prego di prendere atto di quanto segue». In quei giorni di gennaio, non riusciva a disilludersi. Alla Camera si stava votando per il nuovo presidente della Repubblica. Ci puntava contro ogni speranza. Era o no il genio dell’impossibile? Infine comprese, grazie ai pochissimi amici veri e sinceri: non sarebbe stato lui il capo dello Stato. Ed ecco, l’estrema debolezza lo coglie. Più morto che vivo sta aspettando l’ambulanza che lo trasporti dalla Villa San Martino di Arcore all’ospedale. La leucemia aveva fatto il suo salto, Silvio avrebbe presto perso conoscenza, e lui capiva che la mente si stava sciogliendo nell’inconsapevolezza, e pensava non si sarebbe più riaccesa.

 

 

 

Questo testo è la sua vera uscita dal campo, la sintesi dei suoi desideri. Altro che i funerali di mercoledì 14 giugno, con il mesto corteo sotto un cielo troppo azzurro, e la bara muta come tutte le bare, dove i protagonisti furono i volti e le parole degli altri, e lui era un corpo chiuso nel legno e l’anima altrove. Be’, il 6 luglio 2023 squillò la tromba del suo addio. Berlusconi dixit, finalmente. O meglio: scripsit. Accidenti se è lui-proprio-lui. Poche righe, molta semplicità, una dimenticanza lieve, quella dell’ultimo figlio, Luigi, che forse non è un difetto della memoria ma una delicatezza; e una finezza giuridica per evitare guai all’amata. C’è bisogno di aggiungere che nella lettera testamentaria c’è anche tanta grana?

 

 

 

TRATTO PATERNO

La sua famosa «discesa» del 27 gennaio 1994 cominciò con la dichiarazione solenne e pubblica: «L’Italia è il Paese che amo». Il commiato restringe l’ambito alla famiglia, ma a strabordare oggi come allora è lo stesso sentimento: «Grazie. Tanto amore a tutti voi. Il vostro papà». Amore + concretezza. Doppia concretezza: quella riferita alla stabilità della guida aziendale, di cui racconta tutto Sandro Iacometti in altro articolo, e la concretezza dei numeri, rotondi, sonanti, in milioni, euro 100 + 100 + 30, scritti accanto ai nomi delle persone cui lui ha «voluto bene», ricambiato, al di fuori dei vincoli di legge, la quale le avrebbe escluse, e allora ha chiesto ai figli, non con l’imperativo del padre-padrone che dispone di quel che è suo, e la prole già abbastanza beneficata taccia, ma con la saggezza del pater familias biblico che, dopo essersi inchinato con un «Vi prego», usa il condizionale. «...dovreste». Per favore vi chiedo il sacrificio di ritagliare dalla vostra eredità «di tutti i miei beni... queste donazioni». Sentire e poi soprattutto leggere dal facsimile la sua calligrafia appena lievemente tremante ma ordinata e chiara, le parolette «100 milioni» fa un certo effetto. 100 sono destinati a Paolo Berlusconi, 100 a Marta Fascina, e 30 all’amico Marcello.

 

 


1-Il fratello: incluso due volte. Una prima volta il 6 ottobre del 2020 con un apposito secondo testamento. E poi per sicurezza, non ricordando in quell’ora insieme buia e illuminata, se avesse davvero consegnato quel foglio due anni prima, allora per sicurezza meglio ripetere. Paolo per evitare illazioni fa sapere che quei 100 decretati il 19 gennaio non si aggiungono a quelli già assegnati, ma sono un puro riflesso d’amore fraterno, il bisogno di vedere il nome Paolo scritto, perché Silvio ha in testa il suo volto, i suoi scherzi, ma non sono 100+100.
2-Marta è colei che sempre ha chiamato da un anno a questa parte «moglie», ma in quello scritto estremo, pur così sentimentale, non la qualifica in alcun modo, non scrive «mia moglie» come di certo avrebbe voluto, ma intelligente e attento fino all’ultimo, risultando “libero” allo stato civile come da documenti allegati, ha temuto di inficiare la validità del testamento, passando per incapace di intendere...
3-E Marcello? Nessuno sa la pena che ha causato in entrambi la separazione determinata dal carcere di Dell’Utri, l’impossibilità per Berlusconi di andarlo a visitare, stante il suo status di pregiudicato, e anche di scrivergli per ordine avvocatesco.

La generosità all’atto della morte ha già causato, sin dalle primissime ore, una secchiata di veleni su entrambi prevedibilissimi e comunque infami.
Gli ultimi mesi della vita di Silvio sono stati profondamente rallegrati dalla costante vicinanza di Marcello, che di suo non gode certo della salute di un fiorellino di montagna, ma conserva un’ironia che le montagne le scavalca.

 

L’ULTIMO FIGLIO

Resta la dimenticanza (o che altro?) dell’ultimo figlio. Silvio elenca infatti in ordine d’età i primi quattro, e poi si ferma: «Cari Marina, Piersilvio, Barbara e Eleonora». Forse ha tralasciato apposta Luigi volendo preservare il beniamino dall’onere di una scrematura milionaria della sua quota di eredità (a seconda dell’interpretazione delle quote: 230 diviso 5 = 46 milioni; o 100 diviso 3 = 33,3)? Escludo questo strano sotterfugio. Certe cose Berlusca le fa, esplicitamente, come già nel 2006. Avesse voluto escluderlo dalla donazione allo zio, a Marta e a Marcello allora avrebbe aggiunto in coda alla lettera un pensiero anche per Luigi, un tanto amore anche per lui, non è uno scappato di casa. La mia idea è che Silvio abbia voluto dimenticarlo per ordine dell’inconscio paterno, e così preservarlo, lui che è il più piccolo e lo ha curato come si fa con un bambino, dalla visione della morte del papà. All’ultimo nato si consegna la speranza della propria immortalità.

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