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Dario Fabbri nella bufera perché non è laureato? Sono solo fatti suoi

Giordano Tedoldi
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La querelle che opponeva il professor Riccardo Puglisi dell’università di Pavia e il giornalista ed esperto di geopolitica Dario Fabbri, si è risolta con una piena vittoria del primo, e lo sconfitto, Fabbri, dovrebbe cavallerescamente riconoscere di essere stato reticente e ambiguo su un aspetto non trascurabile: il fatto se fosse laureato o meno. Ma non sta a noi suggerire comportamenti o stili a persone adulte e responsabili. Semmai, da semplici osservatori, e in un certo senso prescindendo dai protagonisti della controversia (e dunque da eventuali motivi personali o di rivalità professionale che l’avrebbero suscitata), possiamo concedere alcune attenuanti allo sconfitto.

Attenuanti che non vanno tanto cercate nella lista di personaggi illustri che non si laurearono mai, e tantomeno nelle parole, presto derise, come va di moda negli alterchi al tempo dei social, della autodifesa di Fabbri (il collocarsi «fuori dall’accademia» per essere indipendenti e «sviluppare un pensiero diverso»), quanto nella risposta a una semplice domanda: esprimere opinioni sugli scenari globali, sulle strategie di questa o quella potenza, sui conflitti internazionali passati, presenti e futuri, richiede una laurea, così come la richiede operare al cervello o anche semplicemente saper cavare un dente (e certo nessuno si affiderebbe a un chirurgo o a un dentista sprovvisto del titolo, se questi dicesse di aver voluto collocarsi fuori dall’accademia per poter sperimentare una medicina diversa!) oppure no?

 


A nostro parere, la laurea, in questo caso, non è un requisito indispensabile. Addirittura arrivare a dire, come lascia intendere Fabbri, che per lui è stato un bene non laurearsi, è un altro discorso. Ognuno “se la racconta” come vuole. Ma a giudicare il valore delle analisi di Fabbri, a condividerle o a respingerle, ci sembra sufficiente il buon senso e un sano pensiero critico. Non è un neurochirurgo né costruisce ponti; laddove dovesse commettere un grave errore, rientrerebbe nella dialettica delle opposte argomentazioni e nell’ambito tanto ricco quanto poco temibile delle previsioni sbagliate e delle analisi errate; a rimetterci sarebbe solo la sua credibilità, ma non la vita di un paziente o di un automobilista. Su molti temi, lo scambio di opinioni può benissimo tollerare il parere di chi non è arrivato a conseguire la laurea, e chi invece la laurea ce l’ha, anche se la cosa può solleticare il suo amor proprio, non trae gran profitto a usarla come un’arma contro chi invece ne è sprovvisto; non è certo per questo che l’ha ottenuta. 

 

 

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