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Sergio Bresciani, il coraggio del bambino-eroe che andò a morire per l'Italia

Silvia Stucchi
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Domani, a Salò, dove nacque, si ricorda Sergio Bresciani, il più giovane soldato italiano dell’armata corazzata del Nord Africa e dell’esercito italiano nel corso della Seconda Guerra Mondiale, nonché l’unico insignito di doppia decorazione, sia italiana che tedesca. Alla cerimonia presenzierà la sorella Liliana, oggi ottantottenne, che ha messo a disposizione di Antonio Besana, grande cultore di storia militare, la documentazione autografa in suo possesso, costituita da fotografie e lettere, del fratello e dei suoi superiori: perché la vita breve e straordinaria del suo Sergio non sia inghiottita dalle sabbie del tempo. E noi possiamo rassicurarla che no, non accadrà. Il libro che ne è nato, Il bambino di El Alamein. Sergio Bresciani Medaglia d’Oro (Ares, 176 p., 15,80 euro), ripercorre la breve vita del di quello che è ricordato come un eroe italiano, cui è dedicata, per esempio, la Pista Rossa di El Alamein: lì, il 4 settembre 1942, una mina uccide Sergio, artigliere del 3º Reggimento. Sergio all’epoca non ha che diciotto anni, ma da quando ne ha quindici si trova in Libia, dopo essere scappato da casa, da Treviso Bresciano, un piccolo comune della Val Sabbia.

Besana, autore di uno dei più bei libri sullo sbarco in Normandia (Viaggio nel D-Day – Protagonisti e luoghi dello Sbarco in Normandia, Ares 2021), ha il merito di innervare sempre la storia militare con una vena di profonda umanità: il lettore si sente quindi condotto dentro i fatti narrati, anche se non è uno specialista. E così, davvero, in queste pagine noi possiamo vedere rivivere un ragazzo morto ottant’anni fa; un ragazzino vero, che a quindici anni già smaniava per compiere quello che riteneva il suo dovere per difendere la Patria in uno dei momenti forse peggiori della storia. Ma chi pensasse a questo libro come a un santino, e a Sergio come a una figurina irrigidita nel ruolo di giovane eroe, si sbaglia di grosso; al contrario Bresciani emerge qui come un bambino di un secolo fa, è vero, ma un bambino incontenibile, di quelli che non riescono a stare fermi un attimo, che a scuola organizzava scherzi continui, sostituendo l’inchiostro nel calamaio al maestro, salvo poi scampare la punizione grazie agli occhioni contriti con cui accompagnava le sue scuse.

 

 

Ebbene, questo ragazzino vivacissimo, irrequieto, ben presto non matura che un desiderio: arruolarsi. E se oggi gli adolescenti scappano di casa per tentare i provini a qualche talent show, Sergio si allontana d per cercaSergio 8resmon,. Medaglia d'Om re di entrare nell’esercito: o meglio, ci prova, ma la sua grande impresa finisce molto presto, perché viene quasi subito riacciuffato e rispedito a casa. Ma Sergio non demorde, ed elabora un piano: con un po’ di fortuna arriverà al mare e lì, fidando nella confusione generale, riuscirà a intrufolarsi su una delle navi in partenza per l’Africa. E quand’anche venisse riconosciuto come clandestino, una nave non fa tappe e non può tornare indietro solo per riportarlo a casa. Il piano va a segno, e a quindici anni Sergio è in Libia, dove, dapprima, è una sorta di mascotte del reggimento. Ma, due anni dopo, quando ne ha solo diciassette, Sergio può così coronare il suo sogno e arruolarsi.

 

 

Sergio è morto all’età in cui, normalmente, ci si prepara a entrare nella vita adulta, ma già aveva dato prova di un tale coraggio, da essere decorato dal generale Erwin Rommel, con la Croce di Ferro tedesca di II Classe; in seguito, gli verranno assegnate la Medaglia d’Oro al Valor Militare italiana e la Croce di Ferro tedesca di I Classe. Di Sergio, il suo superiore, il Capitano Guido Zirano, ricorda, sino all’ultimo, «la serenità dei forti, a viso ridente». Qualcuno potrebbe pensare a Sergio come a una povera vittima della retorica patriottarda di marca fascista; ma, attraverso l’esame della sua corrispondenza privata, si evince che, la sua grande aspirazione era dare il suo contributo in un momento drammatico per la patria. Il giovanissimo Sergio rivela un senso religioso non comune, frutto di una educazione familiare alla vecchia maniera, come poteva essere quella impartita in certe famiglie di campagna di inizio Novecento. Fa riflettere leggere come questo adolescente, nella corrispondenza dal fronte, ce la metta tutta per rassicurare i genitori, fare il possibile perché la mamma non sappia nulla o non si preoccupi troppo dei suoi ricoveri in ospedale (per otite), e persino rimproverare il fratello che, partito per il servizio militare, si lamenta continuamente: un esempio di quelli che un tempo, in latino si definivano pueri senes, quei ragazzi dotati dell’assennatezza degna di un anziano.

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