Repubblica chiama, Barbera ci casca: l'intervista-tranello al presidente della Consulta
Nella sua prima intervista da presidente della Corte Costituzionale, apparsa a dicembre sul QN, Augusto Barbera aveva espresso un proposito nobile e sensato: «Deluderò chiunque proverà a tirarmi per la giacchetta». È durato poco. Nella sua seconda intervista, ieri su Repubblica, si è già rimangiato l’ottima intenzione. Il quotidiano degli Elkann la giacchetta gliel’ha tirata, sfilata e rimpiazzata con una maglia rossa da manifestante. E lui se lo è fatto fare, sin dalla titolazione: «Barbera: va difeso il pluralismo della Corte. Mai la Consulta è stata di una parte. Meloni non può fare lo spoils system».
Per la testata nemica numero uno del governo, operazione riuscita. Per il primo dei giudici delle leggi, dipende: se voleva lanciare un segnale di complicità a quel mondo e di ostilità ai vincitori delle elezioni, obiettivo raggiunto; in caso contrario, dovrà rivedere qualcosa. Tanto più che lui sa quanto sia importante il riserbo istituzionale.
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Motivo per cui, racconta, si è rifiutato di partecipare al «viaggio nelle carceri» fatto negli scorsi anni da alcuni suoi colleghi, con l’intento di rendere la Consulta “pop” e spiegarla ai detenuti. «Rimango fermo all’idea che la Corte deve parlare attraverso le sue sentenze», dice. Un altro ottimo proponimento, purtroppo espresso al termine di un’intervista in cui fa l’opposto.
La partita che conta è l’elezione di quattro giudici costituzionali da parte del parlamento, prevista tra un anno. In polemica con Giuliano Amato, Giorgia Meloni ha detto che è «una deriva autoritaria pensare che chi vince le elezioni non abbia le stesse prerogative della sinistra», dimostratasi sempre bravissima a mandare i “suoi” alla Consulta. Barbera commenta che «la presidente Meloni sembra collocare l’elezione dei giudici sullo stesso piano di talune pratiche di spoils system», ossia del reclutamento dei dirigenti pubblici sulla base della loro fedeltà alla maggioranza parlamentare. Cosa che, secondo lui, non sarebbe avvenuta in passato per i giudici costituzionali votati dal parlamento, «mai espressione di una sola forza politica o della sola maggioranza di governo».
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RIEQUILIBRARE - Magari fosse andata così. I giuristi di cultura conservatrice diventati membri della Consulta negli ultimi decenni si contano sulle dita di una mano, mentre quelli di estrazione progressista, spesso indicati anche dal Quirinale, sono la maggioranza, e tra loro figurano gli ultimi tre presidenti, ossia Amato, Silvana Sciarra e lo stesso Barbera. Il quale fu a lungo deputato del Pci e del Pds, prima di essere, anni dopo, eletto giudice costituzionale dalle Camere su indicazione del Pd.
Meloni e la maggioranza avrebbero quindi tutte le ragioni per riequilibrare la composizione della Corte, magari d’intesa con Italia viva e Azione, in modo da avvicinarsi al quorum necessario. Accusarli per questo di voler trasformare la Consulta in un organismo «di parte» è una cosa che può fare Repubblica, ma che un presidente della Consulta non dovrebbe avallare.
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Così come avrebbe fatto meglio ad evitare la risposta sprezzante data sul forzista Maurizio Gasparri, che nei giorni scorsi ha accusato la Corte di aver fatto «sentenze più simili ad un volantino di propaganda che ad un trattato di diritto». Anziché replicargli nel merito, Barbera preferisce ignorare Gasparri e la questione che pone, e chiede di passare alla domanda successiva. Segno di mancanza di rispetto verso un parlamentare, per di più capogruppo e sino a poche settimane fa vicepresidente del Senato. Anche quando prende (e fa bene) le distanze da Amato, il quale dice che in Italia la democrazia è in pericolo perché la Consulta potrebbe essere bloccata dal governo, Barbera lo fa con la motivazione che «le nostre norme non lo consentirebbero».
Lasciando così il dubbio, chissà se voluto, su ciò che pensi delle intenzioni dell’esecutivo. Alla fine resta una domanda senza risposta: ma ce n’era bisogno? È scritto in qualche legge che i presidenti della Consulta debbano dare interviste come se fossero un ministro o un parlamentare qualunque in cerca di consensi? Non renderebbero un servizio migliore alla loro istituzione se si limitassero davvero a parlare con le sentenze, e per il resto si comportassero come il presidente della repubblica, che rilascia un’intervista l’anno, sempre volando alto sopra le baruffe della politica ed evitando come la peste chi cerca solo un pretesto per stropicciargli la grisaglia, un titolo per poterlo arruolare?