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Riccardo Muti, orgoglio italiano: "In cosa credo, cosa va insegnato a scuola"

Riccardo Muti

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"Non imbiancheremo i sepolcri, per questo non cambieremo una parola del libretto", dice senza giri di parole il Maestro Riccardo Muti presentando il Ballo in maschera di Giuseppe Verdi che dirigerà al Regio di Torino dal 21 febbraio al 3 marzo nel nuovo allestimento firmato da Andrea De Rosa.

"Non è sbianchettando ciò che è avvenuto, cancellando la storia che si aiutano i giovani", aggiunge Muti, "non si attenua il passato, la storia va presentata per quello che è stata, nel bene e nel male, per aiutare i giovani a conoscere anche gli errori che ci sono stati in modo che possano correggerli e trovare la direzione giusta. Più che di slogan abbiamo bisogno di dialogo". 

 

 

Ripercorrendo la sua carriera il direttore d'orchestra osserva: "Io vengo dalla scuola italiana, dal glorioso Conservatorio di Napoli e da quello di Milano, non sono riuscito a prendermi una laurea perché troppi padroni non si possono servire, anche se poi ne ho ricevute 23 ad honorem, ma dico che vengo dalla scuola italiana perché dobbiamo smettere di pensare che ciò che è straniero sia migliore". E "dobbiamo ritornare a ricuperare il prodotto della scuola italiana e a far capire ai nostri giovani che nel nostro Paese esiste un profondo tessuto di conoscenza che dobbiamo tramandare perché solo così il nostro futuro può essere migliore". 

 

 

Quindi, in una intervista a La Stampa, ridicolizza i francesi: “Quando dicono les italiens con quel loro tono sprezzante, ci tengo sempre a ricordargli che è stata Caterina De' Medici a portare in Francia le posate: prima, mangiavano con le mani". 

"Bisogna ripensare completamente l’insegnamento della musica a scuola. Le dico cosa non serve e fa soltanto danni: il solfeggio per imparare a suonare uno strumentino; far cantare Fratelli d’Italia; far ascoltare il Va’ pensiero… è inutile far sentire uno stralcio delle Quattro Stagioni di Vivaldi o un’aria di un’opera, una qualsiasi, diciamo Vincerò della Turandot, senza però aver insegnato ai ragazzi che quelli sono solo momenti conclusivi di un racconto drammatico. Bisogna prendersi la briga di insegnare l’ascolto, e avere il coraggio di far capire che costa fatica. Ma queste cose le dico da decenni e non cambia mai niente…". E sulla politica confessa: "Io non sono né di destra, né di sinistra, né di centro. Né comunista, né fascista, né democristiano. Credo nell’uguaglianza e nel benessere: la Nona di Beethoven dice che siamo tutti fratelli. E la penso come Eduardo De Filippo: 'Professionista libero, non mi lego a nisciuno'".

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