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Valentina Mira: "Giusto colpire i fasci", tutto il peggio della finalista dello Strega

Alberto Busacca
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Guai a criticare un libro che piace alla sinistra. Perché subito scende in campo la folta schiera degli intellettuali progressisti. Non si placano le polemiche intorno a Dalla stessa parte mi troverai, romanzo (ma è un romanzo?) di Valentina Mira selezionato tra i dodici finalisti del premio Strega.

Il fatto, ormai si sa, è che nel volume si parla anche della strage di Acca Larentia, usando dei toni che a qualcuno (noi compresi) sono sembrati irrispettosi nei confronti delle vittime. Ieri, in difesa della Mira, si è schierato anche un peso massimo della cultura come Dacia Maraini, con un lungo intervento pubblicato sul Corriere della Sera. «Chi invoca la censura di fronte alla scelta di un premio prestigioso come lo Strega», ha scritto, «dichiara di esercitare solo il diritto di critica. Ma quando il diritto di critica proviene dai più importanti rappresentanti del governo, non si tratta solo di critica ma di intolleranza istituzionale. La quale si trasforma pericolosamente in una sfida, un invito alla condanna mediatica, cosa che infatti sta avvenendo perché Valentina viene quotidianamente insultata sui social, e qualcuno l’ha brutalmente minacciata di morte».

La Maraini si riferisce alle critiche rivolte al libro da alcuni esponenti di Fratelli d’Italia. Ora, a parte le minacce di morte arrivate via social, che sono gravi e vanno quindi condannate e perseguite, non bisogna confondere critica e censura. È vero, i politici di Fdi hanno criticato alcuni passaggi del libro, ma non è mai arrivata nessuna richiesta di censura, né è mai stata in nessun modo impedita la diffusione del libro. Che infatti è regolarmente in corsa per il premio Strega e, approfittando della pubblicità degli ultimi giorni, sta anche vendendo più di prima. Dove sta questa presunta «intolleranza istituzionale»?

 

METODO SINISTRO

A dirla tutta, al contrario, censura e boicottaggio dei libri sgraditi sono solitamente metodi della sinistra. Gli esempi sarebbero tanti: dal Sangue dei vinti di Giampaolo Pansa al Mondo al contrario di Roberto Vannacci, passando, solo per citarne altri due, per i volumi scritti dai ministri Matteo Salvini ed Eugenia Roccella... Ma torniamo all’articolo della Maraini. «Che strazio», si legge, «prendersela con un libro che racconta una storia d’amore in un tempo di conflitti sociali e punta la lente sui fatti di Acca Larentia, quartiere in cui l’autrice ha abitato per anni». Ma è proprio così?

La Mira racconta semplicemente «una storia d’amore in un tempo di conflitti sociali»? No, ovviamente. La questione di Acca Larentia è centrale, e i toni usati sono indubbiamente duri. Era prevedibile, quindi, che non sarebbero stati apprezzati da tutti. Ieri il Secolo d’Italia ha raccolto le frasi più significative e controverse contenute nel volume della Mira. Per potersi fare un’idea di quello di cui si sta parlando. Ve le proponiamo qui sotto: «I fascisti hanno a che fare col motivo per cui ho scelto di raccontare questa storia. E a volte vorrei soffrire di vittimismo autoassolutorio come loro. Purtroppo non mi appartiene. Sono colpevole di averli frequentati: non una vittima ma una complice». «Roma, Acca Larentia, fratricidio. Le famiglie sventrate non dalla politica ma dal fascismo. L’antifascismo che fin dall’etimologia è una risposta: ed è violenta questa risposta, sì. Lo è necessariamente». «Cercherò qui di fare una ricognizione del periodo storico nel quale avvenne Acca Larentia. Per smontare la retorica vittimista sulla quale si basa l’autonarrazione che ancora induce qualcuno a portare una corona di fiori su una croce celtica, in un quartiere normale, di gente normale, perbene. Laddove la normalità, a quanto pare, non è sufficiente. L’essere perbene non è sufficiente. Si necessita antifascismo».

«L’antifascismo militante non si attiva subito. I primi a colpire sono proprio loro, i fascisti. Lo fanno due giorni dopo la Festa della Liberazione, il 27 aprile del 1966 alla facoltà di Architettura a Roma, quando sparano a Paolo Rossi (uno studente che morì cadendo da un muretto in seguito a tafferugli con estremisti di destra davanti alla facoltà di Lettere, ndr). Gli antifascisti non hanno mai il desiderio di configurarsi come vittime inerti, non sono neanche gruppi di “cavalieri senza macchia”: attaccano i fascisti. Ammettono la possibilità della violenza. È una reazione giusta e fisiologica in un Paese che ha fatto la Resistenza. Mi pare comunque evidente chi abbia attaccato per primo. Da Sempre».

 

LA CELTICA

«È il 7 gennaio 1978. A via Acca Larentia la celtica non c’è ancora. C’è tuttavia una sede del Msi, che sta per Movimento sociale italiano. Qui si riuniscono quelli del Fronte della gioventù che, lo dice il nome, sono i giovani che l’estrema destra alleva in batteria. Mentre escono dalla sezione due di loro vengono ammazzati. Gli sparano. Sono anni in cui succede. Sono anni in cui loro sono i primi ad ammazzare. Carnefici. Qualche volta, come ora, anche vittime. Del resto lo sai, se frequenti certi ambienti, che puoi morire». «Sono ovunque (i fascisti, ndr) e si mascherano bene. Fingono di parlare il linguaggio del popolo, ma in realtà il popolo lo sfruttano, gli rubano le parole d’ordine, si fingono specchio delle sue esigenze e nel frattempo gli tagliano le gambe favorendo solo se stessi e quelli come loro: di solito altri ricchi... la loro tradizione è la menzogna. Il loro pensiero è vigliaccheria e mistificazione. La loro azione è la forma più perversa di vittimismo». «Finché ci forzeremo alla retorica del dialogo, del perdono in assenza di presa di responsabilità, e della pacificazione a tutti i costi, noi saremo in profondo, profondissimo pericolo. E di certo uno dei motivi per cui ho scritto questo libro è la necessità di stroncare quella retorica. Mi interessa, sì, che i fascisti non ottengano il perdono di nessuno». 

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