Essere Emiliano Fittipaldi deve essere allo stesso tempo estremamente semplice e dannatamente complicato. Non si risenta il direttore del Domani, non è un articolo personalistico, anzi lo stiamo erigendo a paradigma di un tipo giornalistico italico: l’antisovranista compulsivo. Costui da un lato ha la vita facile, perché di fronte a qualunque accadimento del mondo, dalla guerra in Ucraina al calo delle esportazioni al blackout in Spagna, ha la chiave per comporre il titolo, confezionare la battuta nei talk show, insomma passare ’a nuttata professionale, parafrasando Eduardo De Filippo: #colpadeisovranisti. Dall’altro lato, però, vive perennemente sotto la cappa di un’ossessione, è sequestrato da un incubo a occhi aperti, si sveglia nel cuore della notte madido di sudore temendo che l’Internazionale Nera abbia staccato la luce.
Salotto di Otto e mezzo, Fittipaldi sermoneggia sulla Penisola Iberica al buio in mancanza di certezze (non era ancora chiaro il mix tra due consistenti cali di produzione e il massiccio crollo dell’energia solare poi illustrato dal gestore della rete spagnola): «La cosa più interessante l’hanno detta i portoghesi, interessante perla questione del cambiamento climatico e degli effetti di cui non parliamo mai...». S’inserisce Lilli Gruber: «Questo da ricordare ai negazionisti del clima». Il direttore, o meglio l’ossessione che lo domina, vede subito il pertugio: «Che spesso ahimé sono sovranisti». È un riflesso pavloviano scambiato per argomento logico.
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«Fatemi capire. Il modello economico-finanziario che state portando avanti e difendendo è quello che antepo...Ammesso e non concesso che abbia un vago senso estrarre la categoria di “negazionismo” dal contesto tragico di appartenenza (l’esistenza o meno della Shoah) per estenderla al grado Celsius in più, il successivo teorema (negano il riscaldamento globale, non lo contrastano, sono biechi sovranisti) è pura psicopatologia della (s)ragione progressista. Ma siamo all’antipasto: «La cosa più importante a livello geopolitico», annuncia Fittipaldi col tono di un novello Kissinger che sta svelando gli arcana imperii, «è che essendo interconnessi in maniera strutturale, tutto si può fare tranne rinchiuderci». Dove? Ça va sans dire: «Come avvenne nell’Ottocento, nelle nostre piccole nazioni». E quindi (qui l’ossessione manifesta i caratteri compiuti della nevrosi intellettuale) «immaginare di risolvere, come ahimé stanno facendo la Meloni, Orban e Trump, nelle nostre piccole nazioni e sperare di autogovernarci».
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"Giorgia Meloni è stata impeccabile, ha tenuto una postura istituzionale": Italo Bocchino, ospite di Da...Ora, detto che l’autogoverno non è una parolaccia, ma qualcosa che ha profondamente a che fare col liberalismo e la democrazia fin dai tempi di John Locke, la domandache si pone qualunque telespettatore non ossessionato è assai più prosaica. Come diavolo siamo finiti, dal black out energetico di Portogallo e Spagna (Paese governato dal sinistrissimo Pedro Sánchez, en passant), a parlare della Meloni onnipresente, dell’Orco Donald, dei guasti del sovranismo? Non si sa, o meglio si sa perfettamente: perché essere (come) Emiliano Fittipaldi significa applicare una versione aggiornata del rasoio di Occam. Non bisogna moltiplicare gli elementi più del necessario, quando è lampante che in ogni caso è colpa dei sovranisti.