La figura di Giovanni Spadolini, di cui domani ricorre il centenario della nascita, è legata alla “Prima Repubblica”. Non solo e non tanto perché la sua attività si svolse interamente in quel periodo, ma perché come nessun altro egli ne seppe interpretare lo spirito nella forma e nei contenuti. Nella forma, perché, da uomo delle istituzioni, aderì senza riserve ai riti e alle liturgie che la Repubblica si era dati, senza mai una sbavatura. Nei contenuti, perché, pur non rinunciando alle sue idee di democrazia laica, egli fu uomo di mediazione e compromesso, prima di tutto fra le diverse culture politiche che avevano dato vita alla Costituzione. Dal che ne derivava un certo “ecumenismo”, che si manifestava soprattutto nella sua intensa attività culturale (ad esempio nella direzione de La Nuova Antologia).
Dal comunista Gramsci al liberale rivoluzionario Gobetti, dal democratico Amendola al socialista Salvemini, dai liberali Croce e Einaudi ai cattolici Sturzo e De Gasperi, fino al conservatore Prezzolini, di cui era amico, egli in ognuno dei “padri” trovava elementi positivi da valorizzare. Era l’ “Italia della ragione”, per usare una sua formula, che contrapponeva a quella dei manicheismi e delle faziosità. Questo “ecumenismo” risulta con chiarezza nella biografia che esce in questi giorni per Rubbettino a firma di Giancarlo Mazzucca e Federico Bini: Giovanni Spadolini. L’uomo politico risorgimentale. È un libro che riesce a dare uno spaccato completo dell’uomo, non tralasciando gustosi aneddoti che rendono umana la sua ieratica figura di “uomo del Risorgimento”, non esente da simpatiche ampollosità retoriche. I due autori non nascondono nemmeno i tratti della sua psicologia, ad esempio il carattere vanesio che lo portava ad accumulare cariche onorifiche con evidente ma innocente autocompiacimento.
Ci mancava il manifesto degli intellettuali per combattere il fascismo mondiale
La storia, si sa, tende a ripetersi. Ma solitamente dalla tragedia si passa alla farsa (o a qualcosa di simile). Un esem...Nel cercare un’etichetta che lo definisca, Mazzucca e Bini faticano non poco e parlano di «un conservatore liberale e illuminato, un conservatore progressista». Espressione, oltre che ossimorica, parziale, che non rende fino in fondo conto della complessa sua personalità. Più che sui contenuti, l’identità di Spadolini va cercata nell’esigenza che egli avvertì di legare la politica alla cultura, senza ideologismi ma con un orizzonte ideale che traeva dalla storia l’impulso più forte per avventurarsi nell’azione. Il nesso mazziniano di pensiero e azione fu da lui impersonato in modo paradigmatico, animando tutta la sua condotta pubblica e privata. In questo, egli ci è ancora “maestro”.
Spadolini, fra l’altro, sapeva unire magistralmente in se stesso anche le tre anime che lo costituivano: quella dello storico e accademico, l’altra del giornalista e infine quella del politico. Esordì come storico, giovanissimo, e subito si delinearono i suoi interessi: da una parte il Risorgimento, le cui vicende collegava in modo stretto al presente repubblicano; dall’altra, la storia dei cattolici italiani, la cui necessaria integrazione nella vita dello Stato, lui laico, guardò sempre con favore (bisognava rendere il «Tevere più largo» secondo un’altra sua nota espressione). Intrecciò subito l’attività di storico a quella di giornalista, passando in pochi anni dalla collaborazione con Il Messaggero e il Corriere della sera alla direzione de Il Resto del Carlino (dal 1955 al 1968). Egli aborrì i tumulti studenteschi del Sessantotto, troppo lontani dalla sua forma mentis “borghese”.
Ritornò in quell’anno al Corriere come direttore, essendone malamente cacciato quattro anni dopo per motivi politici: entrato l’eskimo in redazione, anche i proprietari del quotidiano della borghesia lombarda cercavano ormai una legittimazione a sinistra che Spadolini non poteva garantire, non almeno fino in fondo. L’estromissione dalla guida del quotidiano di via Solferino, gli aprì comunque le porte della politica. Candidato al Senato da La Malfa nelle file del partito repubblicano, di cui sarebbe diventato segretario, iniziò allora la terza e ultima fase della sua vita, che lo avrebbe portato al governo come primo ministro della cultura nel 1976.
Sarebbe poi approdato nel 1981 a Palazzo Chigi, primo presidente del Consiglio non democristiano, caratterizzando la sua azione in forte senso atlantista. In conclusione, si può dire che quella di Spadolini è una figura “inattuale”, che proprio per questo può aiutarci a capire i nostri tempi così tanto diversi dai suoi. Probabilmente non avrebbe accettato l’odierna polarizzazione della lotta politica, ma nello stesso tempo avrebbe salutato con favore l’integrazione della destra ai vertici dello Stato. Era uomo di tessitura, non di “cordoni sanitari” da opporre all’ingresso nel circuito della democrazia di nuove forze e linfa vitale.