Ilaria Salis e il libro su Amazon? La replica a Libero e le sparate sul capitalismo

martedì 1 luglio 2025
Ilaria Salis e il libro su Amazon? La replica a Libero e le sparate sul capitalismo
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Ilaria Salis risponde a Libero. E lo fa a modo suo: rispolverando il vecchio Karl Marx. L'eurodeputata di Alleanza Verdi e Sinistra è stata tra le personalità politiche italiane che più si è battuta contro "le nozze del secolo" tra Jeff Bezos e Lauren Sanchez, che si sono svolte a Venezia. Qualcuno, tra cui Libero, appunto, le ha fatto notare che il suo libro "Vipera" viene venduto proprio sulla piattaforma online Amazon, di proprietà del miliardario americano. Per tanto, lei si è fiondata su X - di proprietà di un altro cattivissimo capitalista - per giustificare la sua mossa. Come sempre, però, la spiegazione suona un po' come un'arrampicata di specchi.

"Una riflessione su Amazon e sul capitalismo delle piattaforme - ha scritto Salis su X -. 'Eh ma non puoi criticare Bezos se poi vendi il tuo libro su Amazon'. Una piccola precisazione per i non addetti ai lavori: l’autrice non decide dove viene venduto il suo libro. I canali di distribuzione sono scelti dall’editore. Colgo però l’occasione per parlare di un tema molto più grande e importante: il capitalismo delle piattaforme. In breve, si tratta di un sistema economico sviluppatosi con la diffusione di internet e delle tecnologie digitali, in cui alcune grandi imprese gestiscono piattaforme online che intermediano servizi, raccolgono dati e regolano le nostre relazioni sociali... estraendo enormi profitti da tutto ciò. Amazon, la piattaforma di proprietà di Jeff Bezos, è uno dei principali protagonisti di questo sistema, insieme a Google, Apple, Meta, Microsoft, Neflix, etc. – nota bene: i big player che operano in Europa sono quasi tutti americani. Queste piattaforme sono diventate vere e proprie infrastrutture della vita quotidiana nell’epoca digitale. Spesso offrono serviziutili, talvolta persino indispensabili".

E ancora: "Altre volte, invece, ci sommergono di cose superflue, o francamente stupide, persino fastidiose. In ogni caso, sono ovunque. Anche in questo momento ci stiamo parlando attraverso una piattaforma, entrambi la stiamo usando e qualcuno si sta arricchendo grazie alla nostra interazione. Il problema del capitalismo delle piattaforme non sono le piattaforme in sé, ma appunto il capitalismo. Ovvero, la proprietà privata dei mezzi di produzione e la logica del profitto applicata ai bisogni e ai desideri della popolazione. E allora, cosa possiamo fare? Boicottarle? Oppure provare a cambiare il modo in cui queste piattaforme vengono pensate e gestite? Non esiste una risposta valida sempre. Personalmente, credo che il boicottaggio possa avere senso in certi casi, ma che la trasformazione debba essere l’obiettivo principale. Abbiamo due strade, che non sono alternative, ma complementari. Da un lato, c’è la via del riformismo radicale, che consiste nel tassare pesantemente gli enormi profitti di queste aziende e redistribuirli sotto forma di servizi pubblici. Una riappropriazione, seppur indiretta, della ricchezza estratta – o meglio, sottratta – alla cooperazione sociale, cioè dal lavoro, dai dati e dalle relazioni di milioni di persone. Il contributo fiscale delle piattaforme è oggi irrisorio, del tutto sproporzionato rispetto al potere che esercitano e ai profitti che accumulano. E chi si oppone a una tassazione più giusta?".

Infine: "Beh, il governo italiano per esempio, sempre pronto a inchinarsi davanti ai ricchi e ai potenti di turno, specialmente se americani. Dall’altro, c’è un orizzonte più ambizioso: la socializzazione dei mezzi di produzione. E nell’epoca digitale, questi mezzi di produzione sono prima di tutto le piattaforme. Non è affatto un’idea assurda immaginare che molte di esse – che già oggi funzionano, di fatto, come infrastrutture essenziali – possano diventare beni comuni. Immaginiamo piattaforme a proprietà pubblica o realmente cooperativa. Gestite con regole democratiche e trasparenti, nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori. Pensate non per generare profitti a vantaggio di pochi, ma per offrire servizi utili alla collettività. Se liberate dalla logica del profitto e governate nell’interesse di chi le usa, queste piattaforme risulterebbero non solo più giuste e sostenibili, ma anche più efficienti e davvero a misura dei nostri bisogni e desideri".

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