Ha ragione Maurizio Landini. La norma inserita nella manovra (e poi stralciata) che proteggeva le aziende dagli effetti delle cause di lavoro sui salari troppo bassi è sbagliata. Ma non per quello che dice il leader della Cgil. Bensì perché non inchioda le sigle alle loro responsabilità. La materia è complessa. Cerchiamo di semplificare: la legge stabiliva che se un giudice condanna un’impresa per uno stipendio ritenuto sotto la soglia dignitosa prevista dall’articolo 36 della Costituzione non avrebbe dovuto pagare anche gli arretrati, cosa che è invece puntualmente successa in tutti i contenziosi degli ultimi decenni, nel caso la paga sia quella stabilita da un Contratto collettivo nazionale (CCNL). Versione di sinistra e sindacato rosso: via libera allo sfruttamento dei lavoratori, Carta calpestata e contratti pirata sdoganati.
È davvero così? In realtà ci sono un po’ di cose che non funzionano. La prima riguarda le imprese. Nel momento in cui un’azienda adotta un CCNL regolarmente registrato al Cnel e quindi valido a tutto gli effetti, perché mai dovrebbe pagare di tasca propria nel momento in cui un lavoratore ritiene che la sua paga sia troppo bassa e un Tribunale gli dà ragione? Delle due l’una o aboliamo la contrattazione nazionale o decidiamo che tutti gli accordi debbano passare da un vaglio di legittimità delle toghe. Così i magistrati dopo aver deciso le politiche sull’immigrazione, quelle sulle grandi opere, quelle sullo sviluppo urbano delle grandi città e financo quelle sull’educazione dei figli, potranno finalmente mettere becco anche sui nostri stipendi.
È questo che vuole Landini? C’è da dubitarne. Ma lui la risolve facile. In gioco, secondo l’ex leader Fiom, non ci sono tutti i contratti, ma solo quelli non firmati dalla Cgil. In altre parole, ci sono i buoni e i cattivi. E se le aziende si affidano a quest’ultimi è giusto che paghino. Il teorema, però, è tutto da verificare. Se è vero che le sentenze più recenti hanno messo sotto accusa gli accordi stretti con sindacati meno rappresentativi, è altrettanto vero che tra le intese bocciate più volte dai giudici ci sono anche altri CCNL, come il famigerato contratto sulla Vigilanza privata-Servizi fiduciari siglato nel 2013, guarda un po’, dalla Filcam Cgil. Un caso? Tutt’altro. Sotto la soglia dei 9 euro, considerata dallo stesso Landini invalicabile per un salario “minimo” dignitoso, ci sono almeno una ventina di contratti che hanno il timbro del sindacato rosso. E alcuni di essi, come quello sulla Vigilanza privata, si muovono ancora sul terreno dell’incostituzionalità. Fermiamoci un attimo. Se Landini firma un contratto da fame e un giudice se ne accorge, deve pagare l’impresa perché il nostro alfiere della rivolta sociale ha deciso che qualunque altra soluzione è contro i lavoratori?
Adesso, al di là delle balle sui sindacati maggiormente rappresentativi che siglano i cosiddetti “accordi leader”, è così. E diverse sentenze (una per tutte Tribunale di Catania del 21 luglio 2023) certificano che l’azienda è stata costretta a sborsare gli arretrati anche senza “pirati” in giro. Il punto è: se non lo fa l’azienda, chi risarcisce il lavoratore sottopagato? La risposta è semplice. Se un magistrato decide che la paga non è dignitosa non è l’impresa a doverci rimettere, ma chi ha siglato il CCNL, associazioni datoriali e sindacati, sia i buoni sia i presunti cattivi. Stabiliamo per legge che spetti a Landini ristorare i dipendenti inguaiati dai suoi contratti e poi stiamo a vediamo che succede.




