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Giuseppe Valditara, l'impegno: "Anpi, mai più il monopolio della scuola"

Giuseppe Valditara

Hoara Borselli
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«Il mio obiettivo è quello di una scuola che metta la persona dello studente al centro e possa offrire un’opportunità a ogni ragazzo valorizzandone le competenze». Determinato a raggiungerlo questo obiettivo, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Vaditara ci racconta le innovative riforme approvate nell’ultimo Consiglio dei ministri che stanno facendo discutere chi, nella scuola, ancora fatica a riconoscere l’autorevolezza dei docenti, un valore essenziale.

Ministro, dal sondaggio condotto da Swg, è emerso che un’alta percentuale di italiani richiede un legame sempre più forte tra scuola e mondo del lavoro. La sua riforma, approvata dal Consiglio dei ministri, si pone in questa direzione.
«Assolutamente sì. Quello che la scuola deve fare è educare alla libertà, ma anche fornire prospettive occupazionali concrete. Oggi molti giovani non hanno queste opportunità non trovando dunque lavoro, ovvero non trovando un lavoro coerente con le loro potenzialità. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è evidente: secondo i dati Unioncamere Excelsior, dalla meccatronica all’informatica serviranno da qui al 2027 almeno 508mila addetti, ma Confindustria calcola che il 48% di questi sarà di difficile reperimento. La nostra riforma dell’istruzione tecnico professionale vuole essere innanzitutto una risposta a questa mancata corrispondenza fra domanda e offerta. Il nostro obiettivo è fornire tutte le competenze necessarie ai giovani affinché, una volta usciti dagli istituti tecnico professionali, abbiano una solida preparazione e possano trovare un impiego che soddisfi le proprie aspirazioni, contribuendo al tempo stesso a rendere più competitivo il sistema delle imprese e a favorire la crescita dei territori».

 



 

Quali saranno le novità introdotte dalla riforma Valditara?
«Intanto percorsi quadriennali per le scuole tecnico-professionali; ampliamento dell’apprendistato formativo e più alternanza scuola–lavoro; possibilità di concludere contratti di docenza con esperti provenienti dal mondo produttivo e professionale per ampliare l’offerta didattica, in primo luogo quella laboratoriale; rafforzamento delle materie disciplinari di base quali italiano, matematica e inglese, spinta all’internalizzazione, attività di ricerca e di trasferimento tecnologico all'interno delle stesse scuole».

Lei ha sempre parlato di «centralità dei giovani».
«L’obiettivo della scuola è riuscire a individuare e valorizzare i talenti e le abilità dei nostri giovani.
Per farlo sarà fondamentale la figura del “tutor” che coordinerà l’attività degli altri colleghi disegnando un percorso il più possibile personalizzato per ogni singolo studente, consentendo a chi è in ritardo di recuperare e a chi in classe si annoia perché è più avanti di accelerare».

Altra sua grande riforma, l’“Agenda Sud”.
«L’obiettivo di questa riforma è quella di potenziare la formazione di tantissimi giovani che oggi non hanno le stesse opportunità formative di quei ragazzi che vivono in aree più avvantaggiate del Paese. Vogliamo riunire l’Italia garantendo, da Nord a Sud, adeguate possibilità di istruzione. Stanziamo 325 milioni di euro per un progetto che riguarderà 2.000 scuola, per 245 (quelle situate in aree di maggiore disagio e con maggiori tassi di dispersione) prevediamo in particolare 10 azioni di potenziamento fra cui: più docenti, una loro specifica formazione, prolungamento del tempo scuola, pagamento dei docenti per il potenziamento pomeridiano, azioni di recupero sociale e di sostegno psicologico per portare i ragazzi a scuola e altro ancora».

Avete ottenuto fondi europei, un miliardo in più rispetto al passato. Come saranno impiegati?
«Con i fondi Pon e grazie a questo finanziamento potenzieremo l’offerta formativa nel Sud e anche nelle periferie del Centro Nord, che sono sempre più a rischio di dispersione scolastica».

Stanno facendo molto discutere le misure messe in campo con il 6 in condotta. Serviva un giro di vite rispetto al lassismo di quei giovani che non riconoscono il rispetto come valore essenziale anche all’interno della scuola?
«La scuola deve innanzitutto riuscire ad offrire una didattica sempre più personalizzata per coinvolgere il ragazzo, motivandolo, facendo sì che lo studente non si senta nel luogo sbagliato, adottando misure che consentano di avviare azioni di recupero. Poi deve garantire la cultura del rispetto sanzionando comportamenti di bullismo verso i compagni, verso i docenti e il personale della scuola. Alla scuola occorre dare gli strumenti per sanzionare efficacemente comportamenti che violino i doveri stabiliti per gli studenti. Se lo studente avrà 6 in condotta sarà rimandato, cambiano le sospensioni: ci sarà più scuola, il ragazzo non sarà più lasciato a casa a non fare nulla. Se poi compirà gesti particolarmente gravi svolgerà attività di cittadinanza solidale».

 

 

Da svolgere dove?
«In residenze per anziani, mense per poveri, ospedali etc. Ci saranno strutture convenzionate».

Ieri Repubblica ha pubblicato un pezzo titolato : «Se la politica confonde autorità e autorevolezza» che riportava questa frase : «Nel caso la riforma del voto in condotta diventi effettiva, l’autorità diventi autorevolezza, come durante il Terrore...».
«A me sembra che non si abbiano le idee molto chiare quando si muove questa accusa, perché autorevolezza e autorità sono due concetti diversi che ben possono essere collegati. L’autorevolezza è quella del docente e viene negata quando viene messa in crisi la sua autorità. Le faccio un esempio di un episodio raccontatomi da una docente, che spiega benissimo il concetto. Quello di una studentessa che ascoltava la musica in classe con il cellulare durante la lezione. La professoressa la invita a spegnerlo perché recava disturbo a lei che spiegava e ai compagni. La ragazza le ha così risposto: "Io non riconosco la tua autorità". Dopo ripetuti inviti la professoressa è stata costretta a recarsi dalla preside. La dirigente le ha risposto: che possiamo farci? È evidente che se non si rispetta l’autorità del docente non si rispetta neppure la sua autorevolezza».

Precisamente domani scadrà l’accordo siglato tra Anpi e ministero. Ad oggi non è stato ancora rinnovato e l’associazione dei partigiani teme di non poter fare più le sue lezioni su Resistenza e Costituzione agli studenti italiani. Questo ha scatenato polemiche dal fronte progressista. Cosa risponde?
«Che i professionisti della polemica politica devono rilassarsi. I valori dell’antifascismo sono valori anche miei e ritengo la Resistenza un valore prezioso. Il mio impegno e quello del mio ministero è costruire una convenzione che coinvolga tutte le associazioni partigiane. La Resistenza non è monopolio soltanto dell’Anpi: i valori resistenziali devono essere patrimonio di tutti».

Un cambio di passo rispetto al passato dove la Resistenza è sempre stata riconosciuta appannaggio solo di Anpi.
«La Resistenza non l’hanno fatta solo i comunisti, ma anche i cattolici, i liberali, gli azionisti e perfino i monarchici, anche i militari che hanno combattuto il nazifascismo. Sarà la mia una convenzione per far riconoscere l’importanza della Resistenza nelle scuole con tutte le associazioni partigiane».

Come vuole venga celebrata la Resistenza nelle scuole?
«Come un’importantissima pagina di storia che ha ridato dignità e libertà al nostro Paese».

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