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Monti e Bersani, che farsa: fingono di litigare, già trattano per tassarci

Giulio Bucchi
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  di Tommaso Montesano Mario Monti da una parte prende Pier Luigi Bersani di petto: «Tagliare le ali è una brutta espressione, ma se le ali sono le estreme è una buona cosa. Spero che Bersani convinca ma non vinca...». Dall'altra continua a lanciargli segnali. Come quello di non vederci niente di male, proprio come proposto dal leader del Pd, nell'introdurre una tassa patrimoniale: «Non è un discorso che debba essere evitato come il diavolo». Il Professore è scatenato. Intervistato su Raiuno nello studio di «Uno mattina» - «se lo fa lui va bene. Se lo faccio io è scandalo», attacca Silvio Berlusconi seguito dal Pdl -, prima annuncia il nome della sua lista al Senato, «qualcosa tipo “con Monti per l'Italia”», poi, dopo aver risposto allo stesso Cavaliere che lo aveva accusato di non essere più credibile («ha mostrato una certa volatilità di giudizio sulle vicende umane e politiche negli ultimi tempi»), inizia il suo dialogo a distanza con il segretario del Partito democratico.  Tassatore per forza - Il primo messaggio è un consiglio. A Bersani, il premier chiede «un atto coraggioso, silenziare un po' la parte conservatrice del suo movimento». Ovvero «da una parte coloro che sono nel blocco più tradizionale della sinistra, Cgil e Fiom, dal punto di vista sindacale». Dall'altra Nichi «Vendola, il Sel e l'onorevole Fassina dal punto di vista politico». Il riferimento, a parte lo sfondone di chiamare onorevole chi deputato non è, è al responsabile economia e lavoro del Pd, fedelissimo di Bersani più volte critico nei confronti dell'agenda Monti. Il senso della sortita è chiaro: spingere il segretario, che in caso di vittoria mutilata (a Montecitorio, ma non a Palazzo Madama) potrebbe essere costretto a rivolgersi ai centristi guidati dall'attuale premier per puntellare la maggioranza, a liberarsi dei compagni di viaggio più scomodi. Sottinteso: così sarebbe più facile trovare un accordo dopo il voto. «Quando Monti dice a Bersani di sfilare Fassina, di sfilare me e la Cgil, dice che è disponibile ad assumerlo tra gli inservienti», commenta duro Vendola.  Stessa lingua - Fatto sta che Monti, sul fisco, conferma di parlare la stessa lingua di Bersani. «È chiaro che la prospettiva deve essere quella della riduzione graduale dell'imposizione, a partire da quella che grava sul lavoro», premette il Professore. Ma non bisogna essere «prestigiatori in materia fiscale». Come chi, e l'allusione è a Berlusconi, promette «riduzioni che poi non possono essere mantenute». Insomma, scandisce sorridendo, prima bisogna che ci sia «una base di sostenibilità». Catturare «la buona fede del cittadino a base di slogan su chi è per la patrimoniale e chi non è per la patrimoniale», infatti, è un'operazione di «bassa lega». Anche perché lui, che del resto ammette di essere stato un «tassatore non cortese per la situazione di crisi», la patrimoniale non la disdegna affatto: «Ho una forte convinzione che il sistema fiscale debba avere un'azione di distribuzione. Obama ha ragione: molto meglio che l'attività di redistribuzione avvenga attraverso il fisco che non interferendo con la funzione di mercato».  Il Pier Luigi piccato - Musica per le orecchie di Bersani. Proprio come pagina 18 dell'agenda Monti, quando il Professore inserisce tra le sue priorità quella di «creare un reddito di sostentamento minimo» per tutti. Punto, per inciso, destinato a piacere parecchio anche allo stesso Vendola. Fatto sta che proprio in nome del fisco dal volto umano Monti chiede di restare a Palazzo Chigi: «Se c'è un motivo per cui mi farebbe piacere un Monti-due è che si vedrebbe che non c'è la cattiveria del tassatore nel mio volto». Bersani non ci sta. E prima ironizza sulle critiche di Monti: «Tutti i difetti del Pd si scoprono oggi? Per un lungo anno non si sono visti?». Poi risponde a brutto muso: «Ribadisco il rispetto, ma chiedo rispetto per tutto il Pd. Noi siamo un partito liberale che non chiuderà mai la bocca a nessuno». Il resto della giornata, Monti lo trascorre in colloqui con gli alleati (prima il movimento Verso la Terza repubblica, poi Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini) finalizzati a sbrogliare la matasse delle liste da presentare alla Camera. Il Professore, improvvisamente preoccupato dall'ipotesi di uno «spezzatino» a Montecitorio, non avrebbe ancora escluso l'ipotesi di presentare una lista unica anche alla Camera.     

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