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Il piano di Napolitano per far fuori Bersani: mandato a Grasso

Giorgio Napolitano

Eliana Giusto
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  di Fausto Carioti Saranno decisive le consultazioni di oggi al Quirinale, dove sfileranno nell'ordine il Movimento 5 Stelle scortato da Beppe Grillo, il tandem Lega-Pdl e, non a caso ultima alle ore 18, la delegazione del Pd. Ma intanto Giorgio Napolitano ha individuato una possibile via d'uscita all'impasse che dura dalla notte del 25 febbraio. Una exit strategy che ha il nome del nuovo arrivato Pietro Grasso, appena imposto da Pier Luigi Bersani alla presidenza del Senato e alla quale quindi il leader della coalizione di sinistra difficilmente potrebbe opporsi. Una volta messa in moto, però, la catena degli eventi avrebbe alte probabilità di concludersi con la trasformazione del mandato conferito all'ex magistrato da «esplorativo» a «pieno». Cioè con la nascita del governo Grasso e la sconfitta dello stesso Bersani.  Difficilmente il mandato sarà dato oggi, ma il capo dello Stato ha comunque fretta di archiviare l'era Monti. Lo ha fatto dire ieri ai presidenti delle Camere, i primi con cui si è consultato. «Napolitano intende risolvere subito» la questione del governo, ha riferito Laura Boldrini dopo l'incontro. In altre parole ha sbagliato i conti chi, a sinistra, sperava che Mario Monti restasse in carica ancora qualche settimana, quanto basta per eleggere un nuovo presidente della Repubblica, magari meno prevenuto verso quel governo Pd-Sel-M5S cui punta Bersani.  Se Grillo oggi - come tutto fa pensare - confermerà il «no» a un esecutivo guidato da «Gargamella Bersani», la richiesta del segretario del Pd di avere il mandato per formare un governo politico assieme a Sel e M5S rimarrà inascoltata. Toccherà quindi a Napolitano prendere l'iniziativa. E nella cassetta degli attrezzi in dotazione al Colle c'è una soluzione pronta all'uso. Il mandato al presidente del Senato è un espediente ricorrente nelle crisi più complesse. Sinora è stato usato nove volte. Il primo fu Cesare Merzagora nel 1957, incaricato da Giovanni Gronchi; l'ultimo Franco Marini nel 2008, chiamato in causa proprio da Napolitano. In ambedue i casi l'operazione non ebbe successo. L'unico che è riuscito a passare dalla presidenza del Senato a quella del Consiglio è stato Amintore Fanfani, nel 1982 e nel 1987. Questo per dire che i precedenti non mancano, anche se le chance di successo sono statisticamente basse. Grasso, però, partirebbe messo bene. È espressione del partito che, sebbene per un soffio, ha conquistato il premio di maggioranza alla Camera. Non è la prima scelta di Bersani per palazzo Chigi (che ovviamente è Bersani stesso), ma non si tratta certo di un outsider, visto che il Pd lo ha voluto seconda carica dello Stato. Alla sua candidatura sta lavorando l'area dalemiana del partito, convinta – a differenza del segretario – che il governissimo per quale spinge Napolitano e al quale il Pdl è disponibile debba essere preso in seria considerazione. Grasso è un volto nuovo in Parlamento, vicino alla società civile, e questo – come si è visto pochi giorni fa – lo rende gradito agli stessi parlamentari a Cinque stelle.  Ci sarebbe il problema del Pdl, che se lo è visto imporre dalla sinistra alla guida di palazzo Madama. Ma si può risolvere. Perché tra Grasso e il Cavaliere il feeling non si è mai interrotto. Nemmeno un anno fa l'allora procuratore nazionale antimafia sosteneva che avrebbe voluto dare «un premio speciale a Silvio Berlusconi e al suo governo per la lotta alla mafia» e randellava Antonio Ingroia, colpevole di «fare politica utilizzando la sua funzione». Ancora a gennaio il leader del Pdl ricambiava dicendosi «tranquillizzato» da Grasso, sebbene candidato col Pd, «perché è una persona non estremista». Insomma, i presupposti ci sono. Anche perché il trasloco di Grasso a palazzo Chigi lascerebbe libera la presidenza del Senato, che in nome del nuovo spirito di collaborazione potrebbe andare al Pdl (anche se è scontato il rilancio della propria candidatura da parte di un disperato Monti). Il leader del Pd subirebbe così una escalation in due colpi. Prima l'incarico esplorativo a Grasso, che secondo alcune ricostruzioni apparse ieri sarebbe addirittura gradito allo stesso Bersani per «ammorbidire» gli altri partiti in vista di un incarico pieno al capo della coalizione di sinistra. Se non fosse che l'esito dei colloqui di Grasso promette di essere una sostanziale fiducia sul proprio nome, non certo su quello di Bersani, al quale né i grillini né tantomeno il Pdl intendono dare il consenso. Preso atto di ciò, al Capo dello Stato non resterebbe che affidare proprio a Grasso l'incarico per formare un «governo istituzionale» sorretto da chiunque ci stia. Con buona pace del segretario del Pd, vittima della sua stessa invenzione: Grasso presidente del Senato, carica senza la quale l'ex magistrato non avrebbe oggi alcuna chance di ricevere il mandato da Napolitano.  

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