Matteo Salvini, così il leghista sta per mangiarsi Berlusconi: il suo piano
C' è una nuova trama nella politica italiana. È la scalata - ostile, ma fino a un certo punto - di Matteo Salvini all' intero centrodestra. Cioè l' annessione di Forza Italia alla Lega. Evento epocale per la coalizione che si oppone ai Cinque Stelle e ai progressisti, non privo di uno di quei risvolti beffardi che spesso la Storia riserva ai suoi protagonisti. Nel 1993, mentre Berlusconi progettava la propria creatura politica, Salvini era ventenne, teneva in tasca un diploma di liceo classico fresco di stampa e aveva come massima ambizione una vittoria al quiz di Rete 4 Il pranzo è servito; un quarto di secolo dopo si prepara a digerire il partito del Cavaliere, che alle elezioni europee del 2014 aveva distaccato il suo Carroccio di oltre dieci punti. Leggi anche: La paura più grande del Cav: chi lo molla per andare con la Lega Sono stati gli elettori, il 4 marzo, ad affidargli il ruolo di pigliatutto: le camicie verdi primo partito della coalizione, un milione e centomila voti sopra gli alleati. Soprattutto, nessun dubbio né tra i sondaggisti né nel popolo di centrodestra su come andrebbero le cose nel caso, mica tanto improbabile, in cui si tornasse a votare a ottobre: Lega più avanti e Forza Italia ancora più distante. È il motivo per cui Berlusconi teme un nuovo appuntamento con le urne più dei giudici di Milano. Questo, e la volontà di annacquare il peso dei salviniani nel prossimo governo, lo hanno spinto ad aprire le porte al Pd, dove il disarcionato Matteo Renzi sembra controllare ancora l' assemblea e gli eletti in Parlamento. «Nessuno, fra chi ha ottenuto un consenso importante dagli elettori, può pensare di non farsi carico che il Paese sia governato», ha detto l' ex premier alla Stampa. Ancora più espliciti certi dirigenti di Forza Italia, tipo Renato Brunetta, il quale chiede al Partito democratico di prendere «la decisione migliore per il bene del Paese, ovvero appoggiare un governo di centrodestra» e offre agli sconfitti la presidenza di una Camera come ramoscello d' Ulivo. Profferta respinta, per il momento, ma i giochi veri inizieranno tra qualche settimana, quando il Pd sarà chiamato a fare scelte comunque dolorose. LO STOP Fiutato il piano dell' alleato/rivale (non era difficile), Salvini lo ha fermato. «Gli italiani non ci hanno votato per riportare Renzi, Boschi e Delrio al governo. E neanche Gentiloni», ha risposto a Berlusconi. Dalla notte delle elezioni quello che ormai è il «Matteo numero uno» ha iniziato a parlare come leader dell' intero centrodestra. In privato, gli stessi dirigenti azzurri cominciano a rompere il tabù del "dopo-Berlusconi" e riconoscono che si tratta di un processo già iniziato. Giovanni Toti, rilanciando l' idea di fare «un partito unico di centrodestra», il cui leader non potrebbe che essere Salvini, fa da battistrada in pubblico, ma non è l' unico a pensarla così. Quanto a Giovanna Meloni, il suo disegno sovranista è assai più compatibile con quello della Lega di quanto lo sia il programma di Forza Italia, che è pur sempre la filiale tricolore del Ppe di Angela Merkel. E poi gli elettori hanno parlato chiaro: non sarà la leader di FdI, insomma, a ostacolare l' ascesa di Salvini. Il tempo e gli elettori oggi sono dalla parte del leghista, che può permettersi così di rifiutare le cadreghe non funzionali all' obiettivo finale: realizzare il proprio programma come dominus del centrodestra. Iniziando dalla poltrona di presidente del Senato, che farebbe di lui la seconda carica dello Stato, lasciando però la Lega acefala nel momento più importante. Persino l' incarico di premier è secondario: se per andare a palazzo Chigi dovesse rinunciare alla tassa piatta, al blocco dell' immigrazione e agli altri traguardi importanti che si è dato, non accetterebbe. Lo stesso potrebbe fare se il presidente della Repubblica gli prospettasse l' adesione a un governicchio "di scopo", con dentro tutti quelli che ci stanno, per provare a cambiare la legge elettorale: durerebbe comunque poco e lui, stando all' opposizione, ne ricaverebbe solo vantaggi. LA SPOCCHIA Tutto questo senza ostentare la spocchia da guappo improvvisamente arricchito che ha messo su Di Maio. Costui ha iniziato la nuova partita dicendo «tutti dovranno parlare con noi», senza capire che semmai toccherà a lui, se vuole governare, chiedere l' aiuto del prossimo. L' aspirante premier dei Cinque Stelle stenta ad assimilare un concetto: escludere il centrodestra dal prossimo governo convincendo il Pd a essere la stampella dei grillini, secondo la linea pretesa da una lunga lista di maître à penser della sinistra tipo Gad Lerner, Gustavo Zagrebelsky e Barbara Spinelli, significherebbe tagliare fuori quel Nord che in Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna ha dato una maggioranza schiacciante alla Lega e ai suoi alleati. Si può fare un esecutivo ignorando il voto di chi manda avanti l' Italia? Domanda che lo stesso Sergio Mattarella probabilmente si sta ponendo e che, assieme ai numeri del centrodestra in Parlamento, fa pendere ancora di più la bilancia dalla parte di Salvini. di Fausto Carioti