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Manovra, il ricatto di Di Maio: Salvini ha ceduto per non far cadere il governo

Matteo Legnani
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Matteo Salvini urla «me ne frego!», tiene il punto sulla manovra con Bruxelles, glissa sul reddito dei lazzaroni e indossa la faccia spavalda di chi sa che il prossimo ostacolo sulla sua via trionfale si chiama Sergio Mattarella. Convincerà il Quirinale o vorrà espugnarlo a forza? Le parole pronunciate ieri a Latina dal ministro dell' Interno suonano come uno squillo di tromba abbastanza ultimativo: «La Costituzione impedisce forse di cambiate la legge Fornero, di ridurre le tasse alle partite Iva e alle imprese, di aumentare le pensioni Stia tranquillo il Presidente, dopo anni di manovre economiche imposte dall' Europa che hanno fatto esplodere il debito pubblico finalmente si cambia rotta e si scommette sul futuro e sulla crescita. Prima gli italiani, dalle parole ai fatti!». Per quanto opinabile nel merito - nel Def c' è più che altro assistenzialismo -, il messaggio è chiaro e battagliero: si arriverà a un conflitto con l' Europa, se Mattarella si mette di traverso saranno guai per tutti. E così possiamo rassegnarci all' idea che né Salvini né la sua Lega faranno mancare a Luigi Di Maio l' appoggio necessario per incassare i dividendi della più spericolata manovra finanziaria vista negli ultimi anni (se non spiace a Michele Emiliano un motivo ci sarà). Molti analisti politici non avrebbero mai immaginato un esito simile, perfino fra i sostenitori salviniani serpeggia incredulità e circolano le solite domande: davvero a Matteo conviene cointestarsi il reddito di cittadinanza e legare così fortemente il proprio destino a quello dei Cinque stelle? Non sarebbe stato meglio rompere finché si era in tempo, ripresentarsi al voto alla guida del centrodestra e salire a Palazzo Chigi con un blocco parlamentare più ampio, omogeneo e raziocinante? Domande retoriche che Salvini schiva con un' ideale scrollata di spalle, tra un bagno di popolo e un disperato endorsement di Confindustria: «Di questo governo crediamo fortemente nella Lega» ha detto il presidente Vincenzo Boccia. Per approfondire leggi anche: Salvini: "LEuropa ci boccia la manovra? E noi tiriamo dritto" L' alternativa - Ed ecco il punto: chi crede nella Lega e in Salvini magari strabuzza gli occhi ma si trova costretto a fidarsi anche se una vera flat tax resta lontana, anche se la così detta pace fiscale rischia di somigliare troppo alla rottamazione delle cartelle esattoriali promossa da Renzi e Gentiloni. Perché l' alternativa a una manovra deludente sarebbe stata una fragorosa e prematura rottura del patto di governo. È questo il bivio che si è presentato allo stato maggiore leghista, a cominciare dal mediatore Giancarlo Giorgetti che ha trascorso gli ultimi otto giorni tumulato a cesellare la nota di aggiornamento al Def pur di trovare una destinazione coerente ai miliardi di deficit in più rivendicati dalla maggioranza sovranista. Fatalista e insoddisfatto, Giorgetti si affida alla provvidenza. Pazienza se gli danno del frenatore per conto del Colle o se viene spesso bersagliato dai massimalisti pentastellati cui sta facendo ogni giorno, e da diversi mesi, scuola di politica assieme ai ministri leghisti. I due pericoli - Se è andata così, al netto di sempre possibili colpi di scena, è perché poteva andare peggio. E dipende anche dal fatto che Salvini non ha voluto capitalizzare anzitempo la propria escalation nei sondaggi. Buttar giù il governo del cambiamento avrebbe esposto la Lega a due rischi letali: una manovra di Palazzo per impedire il ritorno alle urne attraverso l' aggregazione di una maggioranza parlamentare variabile intorno a un esecutivo tecnico con dentro grillini e dem; oppure una campagna elettorale sanguinaria con addosso il marchio del traditore impresso dalla propaganda pentastellata: Matteo non è stato ai patti Matteo si scordi per sempre il sud Italia al quale ha voltato le spalle Matteo ha abbandonato il popolo per tornare dal solito Berlusconi Anzi da Antonio Tajani, perché la Lega avrebbe dovuto ricontrattare i termini dell' alleanza da una posizione di forza, sì, ma con il presidente dell' Europarlamento. Meglio accontentarsi oggi d' un pezzo di controriforma delle pensioni che lasciare Di Maio libero di fagocitare il Pd e andare al governo con i rimasugli della sinistra? Meglio aspettare le europee dell' anno prossimo, deve aver pensato Matteo. Anche se il meglio è nemico del bene. di Alessandro Giuli

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