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Luigi Di Maio, una brutta fine: Alessandro Di Battista ora è la sua badante

Francesco Specchia
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Nel finale muoiono. Nel finale ufficiale di "Thelma & Louise" le due protagoniste, a bordo di una vecchia Ford Thundebird, si gettano in un canyon ad alta velocità. E crepano, nel rogo di un ribellismo invincibile, col sapore della vita sulle labbra e in corpo la voglia irrefrenabile di cambiare il mondo. Ok. Capisco che possa portare jella, il paragone tra il leggendario film di Ridley Scott - anno '91, un inno alla libertà -, e il viaggio che Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista stanno in queste ore compiendo verso Strasburgo: l' epica on the road dei Cinque Stelle nel ventre dell' Europa cattiva. In fondo, il percorso dei due dioscuri grillini è qualcosa di più d' una pellicola romantica. È un afflato filosofico, un cammino di Santiago squisitamente politico, una paraculata comunicativa che non ricorda precedenti. La telecamera piazzata sullo specchietto, accesa sul microsmo d' un abitacolo fatto di chiacchiere e noia. Il Di Battista di lotta dall' aria sgualcita, in piumino, freddoloso perché abituato all' afa combattente del Guatemala; il quale, non avendo la patente, ripiega sul ruolo da navigatore lasciando il campo ad infinite metafore. Il Di Maio di governo, alla guida in grisaglia senza cravatta, educatissimo perfino con la voce elettronica del casello autostradale che gli dice «Arriverderci», sputando la ricevuta (e Giggino risponde «Arrivederci», come si trattasse d' un elettore di Pomigliano d' Arco). Dietro, una coppia di grillini minori, tra cui spunta il profilo del presidente della commissione per le Politiche Ue della Camera Sergio Battelli. Da lì ecco il reality. «Stiamo andando a Strasburgo, di nuovo insieme dopo mesi di distanza», dice Dibba «sono molto fiducioso che si possano fare delle belle cose in Italia e si possano mandare messaggi interessanti in Europa da qui alle elezioni europee. Ho deciso di non candidarmi ma certe battaglie si portano avanti». Il nostro Garibaldi guatemalteco, in un monologo inarrestabile, ci ricorda, all' improvviso che, per fermarlo, occorre abbatterlo. Chiacchiere - Dibba esordisce su Di Maio, «mi fido con lui alla guida», e poi vola su tutto. Sulla manovra: «Mi ha indignato da cittadino italiano dover combattere per ottenere ciò che dovrebbe essere il minimo». Sull' Europa: «O si mette in testa che si ricostruisce tutto e si cambiano radicalmente alcuni trattati, o se crolla l' Europa mica è colpa del Movimento 5 Stelle». Sull' imprenditore Elon Musk, per il mondo un visionario, per lui un maledetto capitalista perché «ha licenziato 2300 operai». Di Maio, prende la parola e, spinto dalla competizione, s' impenna. Sulle alleanze future per le Europee: «Ci sono i numeri per costruire un gruppo parlamentare europeo né di destra nè di sinistra che si fonda sul principio di una democrazia diretta». E sugli italiani che hanno trattamenti più svantaggiosi degli altri cittadini europei, e sui gilet gialli «che presto incontreremo». E sulla sede di Strasburgo («Questa è la marchetta francese che dobbiamo chiudere prima possibile», e ha ragione). Infine, ci scappa il solito reddito di cittadinanza: «Da marzo vi diremo se la persona che ha fatto domanda può accedere al reddito oppure no. E se sì, dopo pochi giorni avrete una telefonata del navigator»; e qui lo spettatore disattento guarda subito al Dibba che è li accanto e pontifica in stile Che Guevara, invece di dare uno straccio di indicazione sul percorso. Leggi anche: Il Tempo, Di Maio-Dibba in viaggio: prima pagina da godere I due s' infilano in una turbine retorico: parlano, comiziano, concionano, s' avvitano in insaziabili utopie, si fermano solo davanti ai doganieri, all' autogrill e alla pausa pipì; poi riprendono, riciclando i propri discorsi in una fantasmagorica economia circolare delle idee Un comune mortale al loro posto avrebbe la lingua smerigliata e i pensieri scomposti. Null' altro si muove nell' abitacolo incandescente. Probabilmente gli accompagnatori dietro sono morti senza avvertire. Secondo finale - Giggino e Ale, però non sono Kerouac e Cassidy in "On the road". Mi ricordano decine di format televisivi dove una coppia vip intarsia l' auto di parole: da quel famoso Milano/Roma della Rai a Singing in the car, in cui ci si dedica al karaoke al volante sempre con le stesse canzoni; è un giochino divertente, che distrae, lo faccio anch' io con i miei figli durante il tragitto dell' asilo, è una buona alternativa al narcotizzarli. Il mio primo pensiero su tutto questo è di pura sopravvivenza: è giusto che i politici adottino nuove tecniche di comunicazione, soprattutto se le fanno dall' estero, in continua trasferta. Il secondo pensiero non corre a Di Battista, che con i reportage pagati dal Fatto Quotidiano è bravissimo nel fare il terzomondista con la povertà degli altri, ma a Di Maio che se l' incollato addosso. Non aveva bisogno di un badante, Giggi, ma ora che ce l' ha, capace che -metaforicamente- quello l' ammazzi e gli si insedi nel testamento. "Thelma & Louise" aveva un secondo finale. Spero anche loro. di Francesco Specchia

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