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Tiziano Renzi e Laura Bovoli, tre procure e due arresti con 10 anni di ritardo. Così crescono i dubbi

Cristina Agostini
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Credere nella magistratura è un obbligo. Anche perché, molto banalmente, non abbiamo alternative. E se qualche pubblico ministero o giudice sbaglia (capita con maggior frequenza di quanto si abbia notizia) il tutto solitamente si chiude senza scuse né conseguenze per chi ha commesso l' errore. Chi lo subisce può al massimo aspirare al titolo di «vittima della giustizia». Nient'altro. Anche se ha perduto tutto a causa di una indagine nata male e finita peggio. Per questo chi può evitare Procure e tribunali lo fa. L'esempio più recente arriva dal Movimento 5 Stelle che si è adoperato a tutela del socio di maggioranza, Matteo Salvini: hanno tutti totale fiducia nella magistratura purché si occupi dei nemici. Così, mentre sfila il leader leghista dalle aule di Catania, il Movimento esulta per gli arresti domiciliari di Tiziano Renzi e Laura Bovoli (papà e mamma dell' ex premier) disposti dalla Procura di Firenze. I magistrati toscani hanno scoperto che attraverso l' azienda di famiglia, Eventi 6, i genitori dell' ex segretario del Pd, sfruttavano lavoratori in nero impiegati da alcune cooperative - da loro appositamente create - che poi venivano guidate al fallimento senza pagare un euro di tasse né, spesso, un centesimo alla manodopera. Leggi anche: "Ai giornali tutti sapevano". La vergogna dei magistrati, Claudio Velardi vuota il sacco GIRO DI COOP - Secondo quanto ricostruito dall' accusa due cooperative (Delivery Service Italia e la Europe Service) sono state già così condotte alla bancarotta dai coniugi Renzi mentre una terza, di nome Marmodiv, è tuttora attiva ma la coppia era prossima a farla fallire usando lo stesso metodo, ritenuto fraudolento. Per evitare che ciò avvenisse - e che quindi fosse reiterato il reato - è stato necessario arrestarli, riconoscendo loro i domiciliari. Le 96 pagine di ordinanza firmata il 13 febbraio dal giudice per le indagini preliminari, Angela Fantechi, riportano testimonianze, reperti e documenti ad avvalorare l' impianto accusatorio. Per ricostruire il tutto gli inquirenti fiorentini sono risaliti a operazioni effettuate nel 2009. Sì, operazioni di dieci anni fa. Perché da lì è partita l' inchiesta. E ha coinvolto nomi di società, persone e realtà già note a chi si è occupato dell' universo renziano negli ultimi anni. E anche ad altre Procure oltre a quella fiorentina. Cuneo, ma soprattutto Genova che negli anni in cui Renzi junior era premier e guidava il Partito Democratico ha indagato Renzi senior per bancarotta fraudolenta concludendo poi con una archiviazione. Nelle quasi tremila pagine di atti e documenti c' era già il sistema contestato oggi: un' azienda coperta di debiti (Chil srl) affidata a un prestanome per farla fallire. Questa era l' accusa. E chi era il prestanome allora? Mariano Massone, lo stesso Mariano Massone arrestato da Firenze insieme ai genitori Renzi. Genova non ha visto nulla. CHI HA RAGIONE? - Poi è toccato ai magistrati di Cuneo. Che hanno raccolto qualche testimonianza. Infine quelli del capoluogo toscano. E l' arresto. Tre Procure diverse, otto magistrati diversi, tre giudici diversi e tre esiti diversi. Su reati già individuabili sin dal 2009. Spontaneo chiedersi quale dei tre esiti sia quello giusto, quale Procura ha visto bene e quale male? E se ad aver visto bene è soltanto ora Firenze, perché le altre erano distratte? Volutamente? Delle due l' una: o non sono stati in grado o non hanno voluto. Si vedrà. Certo è che con sempre più frequenza quelle che partono come grandi inchieste poi si risolvono con un nulla di fatto. Basta citare Mps, banca Etruria, Consip. Sarà pure doveroso confidare nella magistratura ma la magistratura dovrebbe fare in modo di meritarsela questa fiducia. di Davide Vecchi direttore del Corriere dell' Umbria

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