Paolo Becchi, la fine umiliante che nella storia fece solo Romano Prodi: il colpo di grazia a Giuseppe Conte
Solo in due casi nella storia repubblicana un presidente del Consiglio è arrivato al voto di sfiducia. Nell' ottobre 1998 il governo Prodi I e nel gennaio 2008 il governo Prodi II. Con tutti gli altri governi le crisi si sono sempre risolte con le dimissioni del presidente del Consiglio senza passare dal voto di sfiducia parlamentare. L' attuale presidente del Consiglio, nonostante sia palese che la Lega gli abbia tolto il sostegno politico, non si vuole dimettere spontaneamente. Un' occasione sprecata per fare una bella figura di fronte al Paese. Ciò ha costretto i senatori leghisti a presentare, nella tarda mattinata di ieri, la mozione di sfiducia al Senato ai sensi dell' art. 94 della Costituzione: «La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione». Ora devono trascorrere almeno tre giorni perché Palazzo Madama discuta la mozione, quindi Conte si presenterà in Senato non prima di martedì 13, ma è altamente probabile - visto che c' è di mezzo questo weekend e tra qualche giorno è pure Ferragosto - che si presenti al cospetto dei senatori venerdì 16. Se il presidente del Consiglio si fosse invece presentato spontaneamente in una delle due Camere già lunedì, sarebbe stato sufficiente che il capogruppo parlamentare della Lega gli avesse comunicato la revoca del sostegno politico senza la necessità di arrivare al voto di sfiducia. Ciò avrebbe accelerato le fasi della crisi e condotto il Paese ad elezioni anticipate con più serenità. E invece con la decisione di Conte di comportarsi come Prodi, tutto avverrà con un rullino di marcia al cardio-palma, tenuto conto anche del periodo agostano. Ecco i tempi e le ipotesi sul tavolo. I TEMPI E LE IPOTESI Se la mozione di sfiducia fosse votata venerdì 16 agosto Conte si presenterebbe già nella serata di quel venerdì al Quirinale per rassegnare le dimissioni e la palla passerebbe nelle mani di Mattarella. Due giorni di consultazioni coi gruppi parlamentari, incarico esplorativo lunedì mattina (19 agosto) ad una figura istituzionale come il Presidente del Senato Casellati, consultazioni di questa coi gruppi parlamentari fino alla sera del 20 agosto col nulla di fatto, e scioglimento delle Camere da parte del Capo dello Stato - dopo aver sentito i presidenti delle due Camere - non più tardi del pomeriggio di mercoledì 21 agosto, con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il giorno successivo, giovedì 22. Elezioni anticipate nella forbice 45-70 giorni, quindi la prima data utile sarebbe quella di domenica 6 ottobre (45 giorni esatti dalla pubblicazione dello scioglimento in GU), ma verosimilmente il Presidente della Repubblica lascerebbe più tempo concordando col governo la data del 13 ottobre, in modo tale da consentire ai partiti la compilazione di liste e collegi con maggiore serenità. Un percorso strettissimo che Conte, se avesse manifestato un adeguato senso delle istituzioni, avrebbe reso molto più agevole rassegnando le dimissioni in queste ore. Pensavamo fosse l' avvocato del popolo, come si era definito all' inizio, e invece si è dimostrato solo l' avvocato di se stesso. Infatti, se la situazione si complicasse per via del doppio giro di consultazioni (cioè quelle dei gruppi parlamentari prima col Capo dello Stato e poi con l' "incaricato" dotato di mandato esplorativo), la data di scioglimento delle Camere potrebbe slittare di qualche giorno (probabilmente tra il 23 ed il 27 agosto), facendo saltare la data del 6 ottobre per le elezioni anticipate. Resterebbe in linea di principio possibile quella del 13 ottobre, ma è inverosimile perché troppo a ridosso dei limiti temporali: il Presidente della Repubblica concederà comunque qualche giorno in più chiedendo al governo di fissare il giorno delle elezioni al 20 o al 27 ottobre. Ciò metterebbe in difficoltà il nuovo governo italiano post-elezioni. Il 15 ottobre il governo deve infatti presentare il documento programmatico di bilancio alla Commissione europea (lo farebbe in ogni caso l' attuale governo, anche se dimissionario ma pur sempre in carica), all' interno del quale è previsto il rapporto deficit/Pil per il 2020. Se le elezioni anticipate si tenessero entro domenica 13 ottobre, il nuovo governo, salvo sorprese, si insedierebbe a Palazzo Chigi prima di metà novembre, quindi il Parlamento, già operativo a partire dalla prima settimana di novembre, potrebbe innalzare il rapporto deficit/Pil contenuto nel documento programmatico attraverso il doppio passaggio parlamentare della legge di bilancio tra la metà di novembre e la fine di dicembre. Se invece si andasse a votare nella quarta decade di ottobre, le nuove Camere potrebbero modificare ben poco la legge di bilancio perché avrebbero tempi ristrettissimi per farlo. Un grave danno per cittadini e imprese di cui sarebbe responsabile proprio l' attuale Presidente del Consiglio con il suo tentativo di tirare a campare il più possibile, nonostante sia palese la rottura politica con uno dei due gruppi parlamentari che compongono il suo esecutivo. «QUANDO ARBITRO FISCHIA» Tutto questo, ovviamente, al netto di ulteriori spiacevoli sorprese. Se Mattarella per l' incarico esplorativo incaricasse il Presidente della Camera Fico invece che Casellati, quello che abbiamo detto sinora non avrebbe senso. L' incarico a Fico avrebbe infatti un significato politico forte, cioè l' intenzione di sondare una possibile maggioranza M5S-Pd-Forza Italia. E, ricordando quanto successo a maggio 2018 con la chiamata di Cottarelli - considerato inoltre che si è rimesso in moto l' imbroglio dello spread - non vorremmo vedere neppure l' ombra di un governo tecnico. Vogliamo sperare che il Presidente della Repubblica intenda evitare soluzioni di questo tipo, anche perché palesemente contrarie alla volontà popolare emersa alle recenti elezioni europee. Oggi comunque dobbiamo prendere atto che non è Mattarella a mettersi di traverso verso le elezioni anticipate, ma Conte, che rispetto a Prodi non può neppure vantare il fatto di essere un presidente del consiglio con forte collegamento col voto popolare. Romano Prodi, checché se ne voglia dire, era il leader della coalizione che aveva ottenuto più voti sia alle elezioni del '96 che a quelle del 2006. Certo, "partita finisce quando arbitro fischia", avrebbe detto il grande Boskov, ma siamo ai minuti di recupero e ormai l' esito è deciso. Manca solo il fischio di chiusura. di Paolo Becchi e Giuseppe Palma