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Pd, le primarie: ecco come Renzi può perdere

Matteo Renzi

Andrea Tempestini
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Tra tavolini, caffè e comizi scorre l'ultima giornata dei candidati alla segreteria del Partito democratico. Oggi in quasi novemila seggi elettorali si vota per scegliere chi guiderà il Pd. In tutti e tre i comitati ieri si respirava un cauto ottimismo circa l'affluenza: si dovrebbe superare la soglia dei due milioni. Merito anche del ripensamento di Romano Prodi che oggi andrà a votare. Secondo i maligni, una scelta che avrebbe a che fare con nuove ambizioni quirinalizie. Fatto sta che il grande favorito è Matteo Renzi. Ma, se la sua vittoria è scontata, lo sono meno le dimensioni. E non è un dettaglio. Più voti otterrà, più sarà libero dai condizionamenti di chi lo ha sostenuto e forte nel contrastare la guerriglia di chi lo avversa. L'asticella per avere le mani libere è il 60%. Tutto dipende dall'affluenza. Più gente va a votare, più Renzi cresce. Per questo ieri il sindaco di Firenze ha chiesto ai suoi di organizzare tavolini in tutte le piazze. Guai a dare per scontata la vittoria: «Non è vero che tutto è già scritto, vogliono dirvi così per tenervi lontano dai seggi». Era stato Gianni Cuperlo a dirsi sicuro che sarebbero andate a votare «più di due milioni di persone». Intanto a Reggio Emilia, Renzi insiste sul tema di fondo della sua campagna: cambiare. «Chi vota per me, vota per cambiare le regole sul lavoro». Poi un implicito accenno polemico al governo: «La ripresa è quando le persone tornano a lavorare. Vi vanno bene le cose come stanno o volete provare a cambiare?». E basta con un Pd che va «a rimorchio» di Berlusconi o di Grillo. Se vince lui, si cambia: «Ora tocca a noi dettare l'agenda». Stavolta si fa sul serio. «Non vogliamo più vincere il premio della critica, vogliamo vincere il premio vero».  Cuperlo, che chiude la sua campagna a Bologna, cerca lo scontro con Renzi: «Noi non siamo il volto buono della destra, non siamo il volto politico della moda o di Zelig. Siamo la sinistra». E torna ad accusare «il sindaco di Firenze» di essere in continuità con il «ventennio» che si chiude. Promette battaglia contro «sistemi presidenziali». Dice anche, però, che se non dovesse vincere «mi metterei al servizio dell'unità del Pd». Punto, questo, molto delicato, perché tra gli anti-renziani serpeggia, invece, la tentazione di far la guerra, da dentro, al futuro segretario. Anche per questo Renzi sta pensando di portare in segreteria (presenterà i domani già domani) un supporter di Cuperlo e uno di Civati. Sia chiaro, non se li farà dettare. Niente Cencelli, né con chi lo ha sostenuto, tantomeno con chi lo ha  combattuto. Ma, proprio per attrezzarsi contro la possibile «guerriglia», ha in mente di coinvolgere, in una sorta di patto generazionale, dirigenti che in queste primarie hanno sostenuto altri. «Sarà una segreteria omogenea dal punto di vista generazionale, ma non di soli renziani», spiega un fedelissimo.  Il sindaco di Firenze guarda ai Giovani Turchi, i più determinati nel voler «rottamare» il vecchio patto di sindacato. E a Civati, che su questo è rottamatore quanto e più di Renzi. Proprio il candidato di Monza, ieri ha polemizzato con Massimo D'Alema dandogli del «maschilista» per una battuta che avrebbe fatto nei confronti di una candidata locale, fino a chiedergli di «ritirarsi a vita privata». L'ex premier è stato costretto a spiegare e a precisare.  Un'altra polemica è scoppiata a proposito di un codicillo inserito all'ultimo nel regolamento del congresso, per cui i ministri entrano come membri di diritto nell'assemblea nazionale del Pd, senza passare dalle primarie. Una novità che ha fatto infuriare gli ex popolari. di Elisa Calessi

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