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Giuseppe Conte, la contiguità con molti giudici del Consiglio di Stato: lockdown, chi blocca la diffusione dei documenti

Azzurra Barbuto
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Davanti alla determinazione del premier nel volere mantenere segreti gli atti del comitato tecnico-scientifico che stanno alla base dei decreti prodotti dall'esecutivo in questi mesi, i quali hanno compresso le libertà costituzionalmente garantite, occorre porsi una legittima domanda. Innanzitutto, ricordiamo che l'attuale primo ministro ha fatto parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (CPGA), nella precedente consiliatura, prima di essere nominato a capo del governo gialloverde prima e giallorosso dopo.

 

Inoltre, è bene sottolineare che il CPGA, composto in maggioranza da magistrati e da una minima parte di cittadini eletti dal Parlamento (tra i quali rientrava appunto il foggiano), ha sede proprio presso il Consiglio di Stato, essendo presieduto dal suo stesso presidente. Il quesito ineludibile è: esiste una incompatibilità del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte nella sua richiesta all'Avvocatura di Stato di impugnare davanti al Consiglio di Stato la sentenza del Tar Lazio numero 8615/2020, con la quale i giudici hanno stabilito che i documenti in materia di Covid-19 del comitato scientifico debbano essere resi pubblici? Sebbene non sia ravvisabile una incompatibilità in senso stretto, desta serie perplessità il fatto che l'Avvocatura di Stato, compulsata da Conte, abbia richiesto la sospensione della suddetta sentenza, avvalendosi addirittura della procedura di urgenza, la quale impedisce la instaurazione di un contraddittorio con la Fondazione Einaudi, vittoriosa in primo grado, che chiedeva appunto la pubblicazione degli atti ostinatamente secretati.

Il Consiglio di Stato, con decreto cautelare monocratico del 31 luglio 2020, ha sospeso l'effetto della sentenza del Tar Lazio che consentiva l'accesso ai verbali del comitato tecnico-scientifico relativi all'emergenza sanitaria, accesso che - ripetiamo - era stato reclamato dalla Fondazione Einaudi e ritenuto più che legittimo dai giudici del Tar. Non vi è dubbio che sussista una strettissima contiguità tra Giuseppe Conte e numerosi magistrati del Consiglio di Stato, in quanto egli ha fatto parte, come abbiamo poc'anzi rivangato, del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, che non soltanto ha sede proprio all'interno del Consiglio di Stato (elemento che potrebbe essere irrilevante), ma che è altresì composto in larga parte da Consiglieri di Stato. Ed è il Consiglio di Stato ad avere - con sorprendente velocità - sospeso la sentenza favorevole del Tar Lazio la quale stabiliva che entro il 12 agosto gli atti del comitato tecnico-scientifico avrebbero dovuto essere diffusi.

 

Tale contiguità tra il premier e i magistrati del Consiglio di Stato si traduce in un evidente sviamento dalla funzione pubblica (articolo 97 della Costituzione) concernente il perseguimento degli interessi generali, specie in una materia così delicata come la richiesta di pubblicazione degli atti relativi alla emergenza Covid-19, i quali, a giudizio del Tar Lazio, è inammissibile che permangano segreti dato che le decisioni che sono state formulate sulla base di codesti documenti hanno inciso profondamente sulle vite dei cittadini italiani. Sarebbe stato opportuno semmai che il sedicente avvocato del popolo evitasse di occuparsi della faccenda, astenendosi per motivi di opportunità o, quantomeno, che chiedesse all'Avvocatura di Stato di non avvalersi della procedura di urgenza davanti al Consiglio di Stato, la quale non garantisce il contraddittorio. Contraddittorio a cui Conte, del resto, è apparso essere allergico in questi ultimi mesi, in cui ha decretato ogni dì infischiandosene pure delle Camere.

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