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Matteo Salvini, la svolta pro-Draghi mette le ali alla Lega: sondaggio, ecco di quanto cresce

Antonio Rapisarda
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Se gli incoraggiamenti calorosi ricevuti all'Esselunga di Firenze sono stati un indizio, i primi sondaggi concreti rappresentano la conferma: gli elettori apprezzano l'apertura di Matteo Salvini al governo Draghi. Che sia ancora il segretario della "felpa" o no, ad essere promossa è la sua veste «responsabile»: dress code da governo di unità nazionale. E così la Lega, in questi primi giorni di febbraio coincisi con l'incarico assegnato a Mario Draghi, è tornata a sfiorare "quota 25": è passata, cioè, dal 24,1% del 21 gennaio al 24,5% del 30 gennaio fino al 24,8% registrato ieri dall'istituto di Enzo Risso. «Un trend», spiega il sondaggista, «che conferma l'apprezzamento per le scelte del segretario e leader del Carroccio». Un buon viatico, dunque, per il secondo turno di consultazioni con il premier incaricato (previsto alle 16.30): la prova del 9 per la svolta dell'ex ministro dell'Interno giallo-verde, protagonista dell'endorsement più "draghiano" dell'arco parlamentare, tanto da aver tolto il sonno a Pd e 5 Stelle. La consapevolezza di rappresentare il primo partito italiano è un tonico per il capitano. «Altri mettono veti e fanno capricci», ha spiegato ieri sotto la Regione Lombardia riferendosi a Conte e ai malpancisti dem, «noi abbiamo gettato il cuore oltre l'ostacolo». Dopo aver accolto l'appello di Mattarella, insomma, adesso per Salvini è il momento di affrontare i dossier. Al vertice con l'ex presidente della Bce, ufficialmente, si parlerà solo di programmi: «Salute, lavoro e riaperture: di altro al tavolo con il professor Draghi non parleremo», assicura, scansando così le domande sia sul profilo e il timing del nuovo esecutivo (politico? Tecnico? A "scadenza" o di legislatura?), sia quella riguardante il totoministri, terreno marcato per l'occasione dal capogruppo alla Camera Riccardo Molinari («Se il governo sarà politico, la logica vuole che Salvini debba essere ministro»).

 

 

 

Modello lombardo 

Per far capire che il profilo del suo «sì» al governissimo è di natura operativa, Salvini sul tavolo di Draghi porterà subito una proposta forte contro la pandemia. «C'è un modello lombardo che è il più avanzato dal punto di vista della messa in sicurezza della popolazione, delle vaccinazioni: ecco mentre gli altri si occupano di poltrone, noi proporremo il modello Bertolaso», ha annunciato dopo aver presentato il piano lombardo di vaccinazioni. Ma Salvini intende presentarsi all'incontro anche con un'altra proposta che rappresenta un'inattesa apertura, proprio su uno dei nodi dove è previsto il contrattacco di dem e grillini: l'immigrazione. «Sul tema proporremo l'adozione della legislazione europea», ha anticipato spiegando come «a noi va bene che l'immigrazione sia trattata come viene trattata in Francia e in Germania. Bisogna coinvolgere l'Europa in quello che non è un problema solo italiano». Giravolta ad U? No. Tassello fondamentale, questo della crisi dei migranti, per dimostrare l'approccio pragmatico con cui la Lega si sta affacciando al governo di unità. «Non sono draghiano», ha assicurato. «Sono orgoglioso di essere italiano, ma si può stare in Europa a testa alta: se mi chiedono di accettare la direttiva Bolkestein dico no ma introdurrei domani il codice degli appalti europeo: decisamente migliore del nostro».

 

 

 

Scenari a Bruxelles

E che l'incontro di oggi pomeriggio con Draghi possa rappresentare davvero un incrocio determinante per l'evoluzione stessa del rapporto fra la Lega e l'Ue, lo dimostra il lavorìo degli europarlamentari e dei tecnici del partito sul voto a Bruxelles riguardante proprio il Recovery fund. Una possibile svolta dipenderà proprio dall'esito dell'incontro con l'uomo del "whatever it takes": «Se invece dell'austerity praticata in passato si passasse ad una fase di investimenti, di crescita e di rilancio economico, senza aumento di tasse ma liberando energie e risorse, lo scenario cambierebbe completamente». Ossia? La Lega, che si è astenuta sul documento in commissione ai tempi del governo Conte, potrebbe clamorosamente dire «sì»: «Un conto era il silenzio del precedente governo, che non ha coinvolto nessuno nella stesura del Recovery, altro sarebbe un piano di investimenti, crescita e sviluppo condiviso col Paese». Una decisione del genere andrebbe in controtendenza con la linea tenuta dal gruppo Identità e democrazia, di cui la Lega è il principale partito, e potrebbe aprire scenari inediti: un passo non indifferente, ad esempio, in direzione del Ppe. L'effetto Draghi, non a caso, si è già registrato pure fra i banchi di Bruxelles dove proprio su questo è già emersa la tensione tra il Carroccio e i suoi alleati. A rispondere all'attacco del numero due di Afd Joerg Meuthen nei confronti di Draghi ci ha pensato significativamente l'eurodeputato leghista Marco Zanni, presidente proprio di Id: «Se qualcuno all'estero critica Draghi per aver difeso l'economia, il lavoro e la pace sociale europea - quindi anche italiana - e non solo gli interessi tedeschi, questa per noi non sarebbe un'accusa, ma un titolo di merito».

 

 

 

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