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Claudio Borghi incalza Mario Draghi: "Ha due facce. Sovranista in Europa, ma in Italia sembra Conte"

Gianluca Veneziani
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Ci sono due anime nel premier. Dr Draghi fa il decisionista ai tavoli europei. Mr Mario si adegua alla cabina di regia interna, prolungando le chiusure come un Conte qualsiasi. «Il fatto», ci spiega il deputato leghista Claudio Borghi Aquilini, «è che le questioni europee lui le conosce a menadito e lì sa come muoversi. Le questioni sanitarie, invece, non sono la sua materia. Su questo dovrebbe perciò lasciare la decisione al Parlamento».

Onorevole, Draghi non è stato tenero con l'Ue. Ha ricordato che essa «si colloca dietro molti altri Paesi per vaccini fatti» e che «sulle scelte di Bruxelles tra i cittadini c'è molta delusione», dopo aver detto alla Merkel che sui vaccini «siamo pronti a fare da soli». Draghi non si fida più dell'Ue e della Germania?
«Quanto sta succedendo è interessante. Dimostra la possibilità che le cose vadano come avevo scommesso che andassero, e cioè che Draghi, una volta al governo, diventasse sovranista. E, rendendosi conto di quanto dannosi possano essere i vincoli europei, lavorasse per cambiarli e difendere l'interesse nazionale. Ricordo un'altra sua dichiarazione: "Il mercato unico non ha risposto né alle disuguaglianze né alla disoccupazione. È lo Stato nazionale che deve agire". Se posizioni del genere fossero state prese da Salvini, apriti cielo! Avrebbero gridato all'allarme spread e all'antieuropeismo».

Queste divergenze con Bruxelles e Berlino risalgono già al tempo della sua presidenza della Bce?
«Sì, Draghi alla Bce è riuscito in quello che non è mai riuscito politicamente all'Ue: mettere in minoranza la Germania, ad esempio sul Quantitative Easing o sui tassi di interesse, creando un asse con la Francia».

Anche ora, su vaccini e Recovery Fund, Draghi concorda spesso la linea con Macron. Sta nascendo un fronte franco-italiano alternativo alla Germania?
«L'anomalia geopolitica dell'Ue è l'asse franco-tedesco. Esso va bene finché c'è da bullizzare governi deboli come quello di Conte o Gentiloni. Dal punto di vista economico, però, quell'alleanza non è naturale perché la Francia ha un'economia molto più simile a quella italiana. E poi ora, considerando che la leadership della Merkel è in dirittura d'arrivo e non si vede in Germania una figura altrettanto autorevole, l'asse franco-italiano potrebbe essere una bella occasione per cambiare il baricentro dell'Europa e assumerne la guida».

Da cosa nasce questo nuovo approccio? Dall'insofferenza verso le regole europee e verso il fatto che solo la Germania possa violarle impunemente?
«Io credo che la pandemia abbia fatto cadere paradigmi dati per scontati, bugie che non venivano mai messe in discussione. Si pensi al debito, al rapporto deficit/Pil al 3%, o allo spread: improvvisamente abbiamo scoperto che non è tanto importante il livello di deficit, che la Banca Centrale può garantire qualsiasi debito, che lo spread dipende dalla Banca Centrale. E che non è vero che mancano i soldi, ma basta fare uno scostamento di bilancio».

In Germania i contagi crescono e la Merkel chiede scusa per aver voluto un lockdown pasquale. È il sintomo della grandezza di una leader che ammette gli errori o della sua debolezza politica di fine mandato?
«Un po' tutte e due. La Merkel ha sposato la linea del lockdown, sperando che esse venisse vista bene dalla popolazione. Ma la cosa non ha portato il risultato sperato, anzi ci sono state proteste. Non è pensabile, tanto meno in Germania, un governo che legiferi contro l'attività produttiva della nazione». La Merkel inizia a perdere colpi quando sposa l'ideologia verde, mettendo in difficoltà la propria industria automobilistica? «In questo c'è un insegnamento politico: un partito che prova a fare quello per cui è caratterizzato un altro partito non ne ottiene vantaggi. Nel momento in cui la Merkel si è travestita da Greta e il suo partito, la Cdu, ha portato avanti le battaglie dei Verdi, la gente ha votato di più i Verdi. Le persone preferiscono sempre l'originale».

Che ruolo ha avuto Trump nel depotenziare l'egemonia tedesca?
«Trump ha usato paradigmi ovvi ma efficaci. Sul tema dei dazi e del saldo commerciale tra i Paesi ha detto: noi importiamo dalla Germania molto più di quello che vi esportiamo, per cui, se metto dazi, non ci vengo a perdere. Una visione economica cristallina».

Con la fine politica di Merkel rischia di implodere l'Ue?
«Già nel 2012 venne chiesto a me e altri economisti "eretici" come si sarebbe potuta smantellare l'Ue per tornare alla Cee. La risposta fu che il modo più indolore era che la Germania uscisse dall'alto. Usavo l'esempio della pila di monete: se si vuole smontarla partendo dal basso, c'è una grande possibilità di fare un disastro. Se si invece si parte dall'alto, togliendo le monete a una a una, viene tutto più facile. Questo scenario potrebbe verificarsi nel momento in cui la Germania capisse che non le conviene più rimanere in quel costrutto che le ha consentito fino a ieri di spadroneggiare; e cioè quando un'Europa guidata dall'asse franco-italiano facesse di più gli interessi degli Stati del sud. Penso alla questione del bilancio unico: esso vorrebbe dire non maggiore integrazione europea, ma trasferimenti interni di soldi dai Paesi più ricchi a quelli più poveri. E quindi per la Germania l'obbligo di pagare cifre molto più sostanziali di quelle oggi presenti nel bilancio europeo. Un'integrazione così la Germania non potrebbe accettarla. Già sul Recovery Fund inizia a vedersi questo atteggiamento: al momento lo hanno approvato tutti i Paesi del sud Europa, mentre quelli a nord non ancora, e addirittura la Corte costituzionale tedesca ne ha bloccato la ratifica».

Intanto l'Europa guarda alla Gran Bretagna come a un modello per la campagna vaccinale. Brexit non è stata un cattivo affare?
«Economisti di un certo livello dicevano: gli inglesi con Brexit scompariranno nell'oceano. E invece l'organizzazione e la mentalità di questo popolo hanno fatto la differenza. Gli inglesi producono vaccini, non obbligano nessuno a farli, garantiscono un'informazione trasparente sui rischi e sono guidati da un vero leader. L'esatto opposto dell'Ue che non ha una leadership. Ursula von der Leyen è una Conte in gonnella. Formalmente si presenta bene, ha l'acconciatura in ordine, come lui aveva la pochette. Però tutti e due sono dotati di "incompetanza", un misto tra incompetenza e arroganza».

Dopo i nuovi fallimenti dell'Ue, quale sarà la posizione della Lega in Europa?
«Io sogno un unico gruppo eurocritico che vada da Le Pen, passi per i Conservatori europei e arrivi fino a Orbán, appena uscito dal Ppe».

Sul fronte interno lei ha criticato il decreto Draghi che prevede chiusure dei negozi fino a fine aprile. In questo non c'è nessuna discontinuità con Conte?
«Draghi ha iniziato col piede giusto, facendo decreti anziché Dpcm. Poi però, se i decreti non vengono nemmeno discussi, non va mica bene. Certe decisioni devono avere copertura politica in Parlamento, non possono essere prese solo da una cabina di regia, fatta di tecnici del ministero della Salute, dell'Iss e delle Regioni, che peraltro è la stessa di Conte. Anche sul merito non ci sono prove dell'impatto decisivo del lockdown sulla contrazione dei contagi, ma c'è la certezza delle conseguenze devastanti sull'economia. Per questo, se il decreto non cambia, il mio consiglio alla Lega è di votare contro».

Come sono invece i vostri rapporti con Meloni?
«Comprendo la posizione di Fratelli d'Italia ma non la approvo. Sono convinto che, se fossero entrati anche loro in questo governo, il centrodestra avrebbe potuto essere forza di maggioranza e le nostre istanze avrebbe potuto essere tarate meglio. Il fatto di essere pro tempore su due fronti diversi non aiuta e non fa bene all'amicizia con la Lega».

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