La musica è finita, gli amici se ne vanno, che inutile serata. Assomiglia ad una canzone di Califano, la parabola di Chiara Appendino, sguardo triste colore del cielo, sindaca di Torino, in procinto di mollare una città che ha reso molto più opaca e sperduta di quando l’aveva presa in mano.
Appendino si stagliava, nell’immaginario del Movimento 5 Stelle (e anche in quello di noi commentatori), come quella “brava”, rispetto a Virginia Raggi che aveva cavalcato il plebiscito romano della disperazione. Invece, ora è quella che sparirà per prima, rinunciando probabilmente al secondo mandato, sia per la dura condanna - un anno e sei mesi di detenzione con sospensione condizionale della pena- in primo grado per i fatti di piazza San Carlo; sia, soprattutto, per il fallimento di una rivoluzione politica incompiuta. Appendino è - molto più della Raggi a Roma- il bersaglio di una feroce opposizione interna che rischia di farle saltare anzitempo la sua stessa giunta. Non è tanto che abbia lasciato le periferie nel degrado, lasciando ai rom il bivacco libero; o il fatto che abbia già perso in cinque anni i consiglieri comunali Deborah Montalbano, Aldo Curatella, Marina Pollicino e Damiano Carretta. O che le si imputi di aver agito sempre di testa propria con un’esiziale idea di squadra; e di aver dato un colpo di spugna sul programma dei gruppi di lavoro, “che ad esempio era contrario alla Metro 2”; o di “non aver neanche provato a difendere le battaglie del Movimento. Si è messa a rifare, senza averne le capacità, quello che già faceva il Pd. Ma a quel punto, meglio l’originale», come usa commentare Vittorio Bertola fondatore torinese del M5S e primo eletto grillino a entrare a Palazzo Civico nel 2011, e primo ad essere fatto fuori dall’Appendino stessa. Non è solo tutto questo ad aver precipitato nell’abisso la giovane ex bocconiana. Tra l’altro ci si è messo, con le sue minacce anche Fabio Versaci già presidente del consiglio comunale di Torino già fedelissimo della sindaca che non intende sostenere l’alleanza con il Pd, prospettiva che da Roma viene considerata inevitabile, non solo a Torino. Versaci non era mai stato critico, fino alle vicende elettorali, quando si è schierato con la parte dei grillini torinesi che non vogliono l'alleanza con il Pd, in opposizione anche alla Appendino. “Qui allearsi con il Pd darebbe al Movimento un risultato sotto la doppia cifra, vorrebbe dire contare poco e ambire giusto ad un paio di assessorati in caso di vittoria. Tra l’altro, cosa per niente scontata”, ha detto il veterano “mi permetto di chiedere alla sindaca di essere trasparente il più possibile e dirci in che modo vuole costruire questa convergenza con un Partito democratico locale che le sbatte sempre la porta in faccia”. E Versaci non si è presentato in aula, obbligando così Appendino - che ora non potrà più mancare neanche una seduta - a contare sui voti dell’opposizione per non far saltare il consiglio comunale.
Se l’Appendino piange, il resto del Movimento non ride. Virginia Raggi è assediata da parte dei suoi dentro e fuori giunta; graniscono all’orizzonte battaglioni di assessori comunali e probiviri, perfino interi municipio grillini sul piede di guerra. E anche il neoleader Conte ha il suo daffare. Nel M5s c'è un burrasca per il diktat di Grillo: molti parlamentari già al secondo giro - rivela Il Giorno- hanno cominciato a bussare alla porta di altri partiti. "Grillo ha spiazzato tutti perché non solo espone Conte al fuoco incrociato per i prossimi due anni, ma manda anche al macero chi dovrebbe sovvenzionare il nuovo M5s; se Conte avalla la scelta di Grillo, il partito se lo fa da solo". Cioè la mannaia del secondo mandato potrebbe calare sui 109 in via di siluramento; salvo, pare, i big “più meritevoli”, (Di Maio, Crimi, Taverna e Castelli, Patuanelli), da cui l’avvocato vorrebbe rifondare il partito. Insomma, nel M5S tutti contro tutti…
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