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Federazione centrodestra, il politologo Alessandro Campi: "La verità su Berlusconi e Meloni. Ecco perché il progetto si arenerà"

Gianluca Veneziani
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Studioso del pensiero di destra, Alessandro Campi, prof di Scienze politiche all'Università di Perugia, ha analizzato in un libro del 2007, La destra in cammino. Da Alleanza Nazionale al Popolo della Libertà (Rubbettino), la storia della prima fusione tra due formazioni di centrodestra.

Prof. Campi, a chi farebbe bene una federazione Lega -Forza Italia?

«Il rischio è che faccia male a tutti, anche se non dovesse farsene nulla. Già l'annuncio, precipitoso ed estemporaneo, ha creato più malumori e incomprensioni che approvazioni. La diffidenza reciproca tra alleati sembra aumentata».

Quali sono le finalità di Salvini?

«Prendere quattro piccioni con una fava, almeno sulla carta. Schiacciare a destra la Meloni, accrescere il suo ruolo nel governo, prendersi in prospettiva i voti di Forza Italia, accreditarsi dentro e fuori d'Italia come nuovo leader del fronte moderato. Troppo bello per essere vero o per poter riuscire senza intoppi».

E quelle di Berlusconi?

«Non possiamo chiedere a Berlusconi ancora un miracolo. Siamo al capolinea di una lunga, controversa ma a suo modo prestigiosa storia. Aderendo alla proposta di federazione avrà anche voluto dire ai suoi che scalpitano per succedergli: "Il capo sono ancora io". Ma quello che più desidera è il riconoscimento del ruolo centrale avuto sulla scena politica nazionale. Salvini potrebbe avergli promesso una candidatura (di bandiera) per il Quirinale, come coronamento simbolico di una gran carriera. Di ciò che sarà di Fi dopo di lui al Cav non interessa nulla. Sta solo cercando, da vecchio uomo di spettacolo, l'uscita di scena tra gli applausi».

 

 

 

 

Giusto per la Meloni non aderire? E questa operazione la avvantaggerà?

«La Meloni è al 20%. Caso mai è lei che potrebbe chiedere a Forza Italia di fare una federazione insieme. In fondo, tra conservatori e popolari c'è in Europa meno distanza che tra questi ultimi e i populisti».

L'idea di una federazione registra resistenze trai forzisti. Farà la fine della Superlega nel calcio?

«Sì, la proposta mi sembra a dir poco arenata: troppo poca chiarezza su obiettivi, tempi e modi. Resterà un progetto annunciato e non realizzato».

L'errore è stato annunciare la rivoluzione prima di farla, come scrive il direttore Sallusti?

«Sì, quella degli annunci senza fatti è la malattia della politica italiana da vent' anni. Per fortuna gli elettori dimenticano tutto».

Si parla di una cabina di regia. È un'operazione a metà che manca di coraggio?

«In effetti, non si capisce cosa dovrebbe essere questa federazione. L'unione dei gruppi parlamentari? La sigla comune di un cartello elettorale in vista delle prossime elezioni? Di un partito unico del centrodestra si è parlato più volte dopo il 1994. Ma allora c'era l'entusiasmo del maggiorita-rio, che spingeva verso il bipolarismo. Oggi siamo tornati nella sostanza al proporzionale. Meglio tenersi la vecchia coalizione, a meno che non si vo-glia riaprire la partita della riforma elettorale».

 

 

 

 

 

Impossibile ripetere l'esperienza del PdL?

«Il Popolo della Libertà era un buon progetto sulla carta, ma Berlusconi voleva tutto per sé. Ne nacque lo scontro mortale con Fini conclusosi malissimo per quest' ultimo, ma non è che al Cavaliere sia andata molto meglio, se si guarda a come si è ridotta Forza Italia. Quando nacque il PdL si fece però almeno lo sforzo di realizzare una Carta dei Valori. Ci fu una lunga discussione. Si orga- nizzarono convegni. Si scrissero libri. La politica, prima di farla, andrebbe pensata».

Federazione o no, chi sarà il leader del centrodestra?

«Nelle coalizioni guida sempre chi ha più voti. Le prossime amministrative saranno un test interessante, anche per vedere, nel caso della Meloni, quanto le intenzioni di voto registrate dai sondaggi corrispondano a dati effettivi. Ma la destra italiana sinora ha funzio- nato in virtù del suo pluralismo culturale e ideologico. In questa chiave si capisce quale ruolo debba rivestire il leader: non colui che guida, ma colui che trova la sintesi».

Si troverà la sintesi anche nell'appoggio a Draghi al Quirinale?

«Sì, Fdi è meno all'opposizione di Draghi di quanto dica. Il Pnrr, in parte significativa (circa 70 miliardi), verrà gestito dalle Regioni, in molte delle quali il partito della Meloni go- verna. Fino a poco tempo fa la sua critica maggiore a Draghi riguardava la lentezza nelle riaperture. Ma ora che praticamente tutta Italia è in fascia bianca? Mai opposizione fu più dialogante».

 

 

 

 

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