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Mario Draghi e Silvio Berlusconi, nonno contro bisnonno: Alessandro Sallusti, guerra di nervi sul Quirinale

Alessandro Sallusti
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Mario Draghi si candida di fatto a Presidente della Repubblica facendo una affermazione («questo governo può andare avanti indipendentemente da chi lo guiderà») e ricorrendo a una metafora: «Io sono un nonno al servizio delle istituzioni». E ciò accade proprio nel giorno in cui diventa pubblica la notizia, data dal settimanale Chi, che Silvio Berlusconi è diventato per la prima volta bisnonno essendo nata Olivia, figlia della figlia che Piersilvio ha avuto da una relazione giovanile. Nonno Mario contro bisnonno Silvio (al Cavaliere piace sempre stare un passo avanti a chiunque in qualsiasi campo) non è solo una divertente coincidenza di notizie parentali ma il primo nodo politico da sciogliere nella corsa al Quirinale.

 

Perché fino a che Berlusconi rimarrà in campo, sia pure non ufficialmente, per contarsi alla quarta votazione quirinalizia a maggioranza semplice è difficile che Lega e Fratelli d'Italia convergano su Mario Draghi nei primi tre scrutini che richiedono una maggioranza dei due terzi, pena una spaccatura probabilmente irreparabile con Berlusconi e Forza Italia. Per essere ancora più chiaro, ieri sera bisnonno Berlusconi ha ribadito che a suo avviso nonno Draghi deve restare a Palazzo Chigi fino al termine della legislatura nel 2023, respingendo di fatto l'autocandidatura al Quirinale dell'attuale premier.

Del resto tra i due è in corso una guerra a distanza: in mattinata Draghi, rispondendo a una domanda sulla possibilità che Berlusconi salga al Colle, aveva risposto scocciato: «Non sta a me dare valutazioni». Ci siamo, insomma. Al tavolo dove si gioca la partita per la sostituzione di Sergio Mattarella i giocatori calano le prime carte, che non sono ancora i jolly ma qualche strategia si comincia a vedere. Partita complicata perché per la prima volta nella storia della Repubblica uno dei candidati eccellenti, Mario Draghi, è anche Presidente del Consiglio in carica. Non essendo previsto il doppio incarico - osservazione stupida ma per dire che anche le emergenze hanno dei limiti invalicabili in democrazia - che ne sarà del governo Draghi dopo Draghi se Draghi dovesse traslocare? «Si può andare avanti senza di me e con la stessa maggioranza di oggi, il lavoro è ben avviato», ha minimizzato ieri il premier per tranquillizzare il Parlamento sul fatto che con lui al Colle la legislatura potrà tranquillamente continuare.

Ma Draghi immagino sappia che dicendo questo la fa un po' troppo semplice, che va bene la stima e la fiducia nei suoi confronti ma che potere, ambizioni e appetiti sono altra cosa, tanto che il suo discorso è stato accolto con garbata freddezza da un po' tutti i partiti poco disposti ad accettare soluzioni preconfezionate e per di più a scatola chiusa. Nessun patto e nessun annuncio possono garantire che via Draghi da Palazzo Chigi tutto continuerà come se nulla fosse. Non dico che ciò è impossibile, penso che oggi non ci siano le condizione perché accada tante sono le tensioni e le divergenze tra i partiti che compongono la maggioranza. E poi chi dovrebbe essere il suo successore alla guida del governo? Un politico puro lo escluderei e per questo non credo alle ipotesi che circolano in queste ore sui nomi di Giorgetti o Brunetta (ma anche di chiunque altro).  Un tecnico? Dopo Draghi, chiunque sarebbe una scelta al ribasso non accettabile dai partiti poco disposti a ulteriori, per di più gratuite, cessione di potere.

 

Ed ecco che allora si torna al punto di partenza: tenere insieme le tre ipotesi care a Draghi, cioè lui al Quirinale, avanti con la stessa maggioranza e quindi niente elezioni anticipate è davvero dura. Come è dura per Matteo Salvini e Giorgia Meloni non sostenere fino in fondo, o quantomeno fino all'ultimo minuto possibile, la candidatura di Silvio Berlusconi primo presidente di centrodestra. Al momento quindi è una guerra di nervi tra nonno Mario e bisnonno Silvio. Gli altri, nipotini naturali o acquisiti, tutti a guardare e ad aspettare il primo passo falso di uno dei due.

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