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Giorgia Meloni, la stoccata a Berlusconi e Salvini: "Chi comanda lo decidono gli italiani"

Antonio Rapisarda
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C'è un dubbio amletico a cui Giorgia Meloni ha confessato ieri di non saper rispondere. Non si tratta della domanda che va per la maggiore: se il centrodestra, dopo la crisi del Quirinale, esiste ancora o no. Si tratta di qualcosa di più spinoso, perché riguarda la natura stessa dei rapporti politici fra (ex?) alleati. A spiegarlo è stata lei stessa nel forum con il direttore del Messaggero Massimo Martinelli: «Per Lega e Forza Italia è prioritario far vincere il centrodestra o mettere un freno a Fratelli d'Italia?». Una domanda che è in realtà una stoccata durissima, alla luce di una serie di eventi - la riforma del catasto, lo stop al presidenzialismo - che hanno complicato il quadro, già critico, all'interno della coalizione. Per chi guida l'opposizione, ha assicurato, non è un problema personale. Figuriamoci se poteva esserlo non risultare nella lista degli invitati al "non matrimonio" di Silvio Berlusconi e Marta Fascina: «Non ci sono rimasta male. Sapevo che era un evento riservato ai familiari». Anche se l'evento - ha sottolineato Giorgia con un po' di ironia - è stata l'occasione per scoprire che Salvini «fa parte degli affetti più stretti» del Cavaliere.

 

 

 

IL NON MATRIMONIO

Non è stato un grosso problema, per la leader di FdI, nemmeno l'endorsement con cui Berlusconi, prima del taglio della torta "non nuziale", ha investito il leghista come «unico leader vero in Italia». Quella frase, al massimo, «mi ha incuriosito. Posso restarci male perché magari è una frase che non mi sarei aspettata, ma non cambia molto rispetto al destino». Quest' ultimo, ossia chi sarà destinato a guidare il centrodestra e la Nazione, in caso di vittoria - «non si decide a tavolino», ha risposto gelida. «I leader li decidono gli italiani». A un anno da questa decisione, nei giorni in cui sulla crisi in Ucraina lo stesso Mario Draghi ha riconosciuto solennemente il ruolo di FdI e il partito continua a guidare i sondaggi, l'analisi della Meloni sull'alleanza è tranchant: «Lo stato di salute del centrodestra non è ottimo: lo dimostrano i fatti». Da parte sua la richiesta non cambia: chiarezza e un centrodestra «orgoglioso che non insegua le sirene della sinistra». Cartina di tornasole di un meccanismo che si inceppa, questa l'accusa, ogni volta che in gioco vi è l'interesse della coalizione è stato lo stop al ddl Meloni sul presidenzialismo: imploso in commissione a causa di due assenze, una della Lega e una di FI. «Mi ha fatto molto arrabbiare», ha attaccato, «si tratta della madre di tutte le riforme». Il sospetto di via della Scrofa, è che in un momento di forte crescita di FdI si sia voluto mettere i bastoni fra le ruote a una battaglia-manifesto targata Meloni.

 

 

 

DIVISIONI NELLE CITTÀ

Le Amministrative di primavera sono l'occasione per capire se dopo gli "incidenti" vi è l'intenzione di ricomporre il centrodestra. Anche su questo la fondatrice di FdI consiglia di girare la domanda a Berlusconi e Salvini: «Se correremo insieme la domanda va fatta ad altri, non a me. Io sono sempre stata nel centrodestra, non ho mai fatto accordi con la sinistra». Per ciò che la riguarda «stiamo sostenendo lealmente tutti i sindaci di centrodestra». Lo stesso, è il sottotraccia, non sta accadendo da parte del resto della coalizione: «Ancora aspetto l'ok di Forza Italia sul sindaco uscente di Verona, Federico Sboarina (espressione di FdI, ndr)». Ma il caso più complicato - anche alla luce del progetto pilota della mini-federazione leghista "Prima l'Italia" - è la Sicilia. Per sbloccare la scelta dei candidati a Palermo e a Messina è necessario condividere la sorte per le Regionali di novembre. Ma qui Lega e Fi non hanno ancora sciolto le riserve, nonostante la regola ufficiosa sulla ricandidatura degli uscenti, sul governatore Nello Musumeci. Guarda caso già sostenuto da Fratelli d'Italia... 

 

 

 

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