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Mario Draghi da Mattarella, "rischio tensioni sociali": la tenuta dell'Italia a rischio

Fausto Carioti
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«Non metterò in discussione il nostro sostegno al governo», dice Giuseppe Conte, e il primo a dare poco peso a queste parole è proprio Mario Draghi. La mossa non è attesa subito, se non altro perché, se strappasse ora con l'esecutivo, il capo dei Cinque Stelle darebbe plasticamente ragione a Luigi Di Maio, il quale sostiene che Conte è mosso da rancore personale verso il premier e ha l'unico obiettivo di azzopparlo. L'attesa è per il periodo tra il 24 settembre, giorno in cui i parlamentari avranno maturato il loro diritto al vitalizio, e la fine dell'anno, quando il parlamento discuterà la legge di bilancio con cui Draghi dovrà mettere insieme gli aiuti per i ceti più deboli e quel minimo di rigore preteso dai "falchi" europei che volano sopra il debito pubblico italiano. Non sarà facile.

 

 


In quelle settimane le probabilità che il M5S passi all'opposizione, collocazione ritenuta più remunerativa in vista delle elezioni politiche, anche perché consente di cavalcare il malumore degli elettori impoveriti dal rialzo dei prezzi, diventano quasi certezza. «Mettiamola così: ci stupiremmo molto», ironizza una fonte di governo, «se da settembre a dicembre non succedesse qualcosa». Il riferimento è innanzitutto a Conte, anche se pochi azzardano scommesse sulle mosse di Matteo Salvini: «Dipenderà dai sondaggi della Lega», è il refrain che spunta in ogni discorso. Una tempesta politica e sociale che riporti l'Italia sotto il tiro della speculazione internazionale è la paura di Sergio Mattarella, che ha seguito la scissione dei Cinque Stelle passo passo, in interlocuzione diretta con Draghi e con lo stesso ministro degli Esteri. Con tatto istituzionale, Di Maio era salito sul Colle per anticipare la propria mossa al capo dello Stato prima di annunciarla al resto del mondo (lontanissimi i tempi in cui l'esagitato leaderino del movimento chiedeva la messa in stato di accusa di Mattarella).

 

 


TRA I MERCATI E LA PIAZZA
Ieri, durante il pranzo al Quirinale con Draghi, Di Maio, gli altri ministri e gli ambasciatori presenti nel Consiglio europeo che inizia oggi, non si è parlato delle mosse di Conte, tema delicato che non si prestava ad una tavolata tanto ampia. Si è discusso invece di un argomento che non appariva da tempo in queste conversazioni: il rialzo dello spread, il segno che l'Italia è di nuovo "attenzionata" dai fondi d'investi mento. A preoccupare è l'intenzione dei "rigoristi" europei - tedeschi, olandesi e austriaci in prima fila - di opporsi allo scudo anti-spread, lo strumento «contro i rischi di frammentazione nell'area euro» annunciato nei giorni scorsi dalla presidente della Bce, Christine Lagarde, che dopo qualche tentennamento pare intenzionata a non abbandonare i titoli di Stato italiani, già sottoposti al rialzo dei tassi. Un simile strumento, secondo chilo contesta, va oltre il mandato conferito alla Banca centrale euro pea. Se ne parlerà - probabilmente in toni animati - domani al vertice dei leader dell'area Euro, e al momento per il governo è il problema numero uno, assieme alla crisi energetica ed alimentare e all'impatto che questa potrà avere sugli italiani, altro argomento toccato da Mattarella durante il pranzo. Draghi si è detto fiducioso di avere nella cassetta degli attrezzi gli strumenti sufficienti ad aiutare i ceti più deboli ed evitare che si incancreniscano nuove tensioni sociali, che alle elezioni politiche finirebbero per premiare i partiti anti-sistema. Certo, fatte queste operazioni non resterà molto da spendere, e il parlamento dovrà collaborare.

 


LA FIDUCIA SUL PNRR
Draghi e Mattarella avevano già discusso dell'atteggiamento da tenere con Conte, concordando sull'inopportunità di procedere ad un rimpasto (che nemmeno l'avvocato pugliese ufficialmente chiede) e sull'unica soluzione ammissibile sotto il profilo istituzionale: il governo va avanti finché un voto delle Camere non lo sfiducia, e siccome ciò che resta dei Cinque Stelle non ha i numeri né la voglia per un'operazione simile, almeno per un po' il percorso dell'esecutivo è garantito. Nel dubbio, però, il governo ha messo la fiducia sul decreto del Pnrr, che sarà in aula alla Camera il 27 giugno e dovrà essere convertito entro due giorni: vista l'aria che tira, meglio esagerare dal lato della prudenza. Verso ottobre, poi, inizierà un'altra partita, che proseguirà sino al voto e si annuncia durissima.

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