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Giuseppe Conte, "i buchi giganti nella sua rete": come sta crollando il suo cerchio magico

Giuseppe Conte

Salvatore Dama
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Quanto conta Conte? La valutazione della rete di relazioni del leader grillino rischia di essere impietosa oggigiorno, quando si assiste al precipitoso declino di quel circuito di potere messo in piedi da presidente del Consiglio. Va detto che una prima spallata al "Sistema Conte" l'aveva già data Mario Draghi, appena insediandosi a Palazzo Chigi. L'ex presidente della Bce ha fatto piazza pulita di tutti i favoriti del suo predecessore. Senza complimenti. Inoltre, dopo la scissione di Luigi Di Maio, tanti interlocutori del M5s si stanno orientando verso il ministro degli Esteri. Che dà più garanzie istituzionali del suo ex rivale interno. Conte è alla guida di un partito dimezzato, con un piede fuori dal governo, delegittimato dalle uscite di Beppe Grillo. L'ex comico è stato eletto da Draghi come interlocutore. Di più: il premier avrebbe chiesto al fondatore pentastellato di levargli il Professore dalle balle. Insomma: il "poterometro" di Conte è in zona rossa. Eppure c'è stato un tempo in cui Servizi segreti, manager pubblici, boiardi, giornali, sindacati, toghe, Vaticano avevano individuato in "Giuseppi" un terminale affidabile su cui poter scommettere.

 

 


Parallelamente l'Avvocato "del popolo" si era sentito davvero l'uomo più potente d'Italia. Il leader della provvidenza. Primo nei sondaggi nell'Italia spaventata dai lockdown. Una sensazione effimera? Probabilmente. Perché questa fitta rete di relazioni era già apparsa infruttuosa nel gennaio 2021. Quando Conte cercava una decina di voti in Senato per rimanere abbarbicato a Palazzo Chigi. Si mossero tutti i padrini dell'uomo di Volturara Appula. Ma la pesca a strascico non andò bene e il resto è storia.

 

 


QUANTI REDUCI
Oggi il telefono di Giuseppe non suona più. La rete contiana si è fatta stretta, anche perché molti si sono resi conto di averlo sopravvalutato. Altri non hanno più convenienza a stargli vicino adesso che i riflettori si sono spenti. Facciamo l'elenco dei reduci. Che si fa prima. Rocco Casalino, in primis. Anche se il portavoce si fa vedere con meno frequenza alle spalle del leader. Poi c'è il mentore: l'avvocato Guido Alpa. L'uomo che ha introdotto il giovane legale nei circuiti della Roma bene. Alpa non ha abiurato. Anzi, ha tenuto botta anche quando la Finanza ha bussato alla porta del suo studio in cerca di carte per chiarire una vicenda di consulenze legali. L'ha difeso e l'ha protetto. Però il fatto è stato sintomatico della fine di una certa collateralità tra il futuro leader grillino e la magistratura. Certo, c'è Giuseppe Busia - segretario generale di Palazzo Chigi ai tempi del Conte I - che è capo dell'Anticorruzione. Uno dei pochi resistiti allo spoil system draghiano. D'altronde era già in carica e non poteva essere rimosso.


Altro amico: l'ex direttore generale del Dis Gennaro Vecchione. Elemento centrale nella riorganizzazione dei Servizi voluta da Conte, il primo pezzo di apparato su cui Draghi ha rimesso le mani. Vecchione ha difeso Conte sulla vicenda Barr, mettendo una pezza alla gestione perlomeno opaca dei rapporti tra l'allora premier italiano e Donald Trump. Ma ora il generale è fuori dai giochi. Così come Domenico Arcuri, altro contiano di ferro. L'uomo più potente d'Italia durante la pandemia ha seguito il destino del suo sponsor. Era rientrato a Invitalia in attesa che si compisse il suo destino. È successo ieri: defenestrato dal governo dopo quindici anni. Stessa sorte era toccata a Fabrizio Palermo, altro fedelissimo, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti durante l'era Conte.

 

 


LE TONACHE
Oltretevere, invece, c'è ancora chi gli vuole bene. Il leader del M5s gode del favore del cardinale Pietro Parolin, segretario di stato vaticano. Ai tempi è stato anche allievo del porporato. I due hanno un rapporto di frequentazione molto consolidato. Altri estimatori dell'ex premier sono il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, il segretario generale, monsignor Stefano Russo, il direttore de La Civiltà Cattolica Antonio Spadaro, grato a Giuseppe per essersi liberato di Matteo Salvini nel passaggio dai gialloverdi ai giallorossi.


A proposito: e il Pd? I più contiani a sinistra sono sempre stati Goffredo Bettini, Massimo D'Alema e Nicola Zingaretti. Ma la passione sembra essersi affievolita da quando l'alleato, con le sue dichiarazioni minacciose, fa tribolare il governo. Infine ci sono i "Conte boys", la squadra di colletti bianchi che Giuseppe aveva messo in piedi a Palazzo Chigi. Che fine hanno fatto? Hanno tutti il numero di Conte in rubrica. Ma difficilmente è plausibile che rispondano ancora all'ex premier. Forse giusto per gli auguri di Natale. Pietro Benassi, il consigliere diplomatico, è a Bruxelles. Roberto Chieppa, il segretario generale della Presidenza del Consiglio, è rimasto lì. Ma ora risponde a Draghi (giustamente). Alessandro Goracci, il capo di gabinetto, è diventato il capo dell'ufficio legislativo di Andrea Orlando al ministero del Lavoro. Almeno da lì può dare una controllata al reddito di cittadinanza. Almeno quello.

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