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Berlusconi-Meloni, il grande freddo al faccia a faccia: retroscena

Antonio Rapisarda
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Chiusa la questione "draghicidio" - nel senso che per Silvio Berlusconi è stato Draghi, rendendosi indisponibile al bis dopo la "non fiducia" di Conte, a cogliere la palla al balzo per il passo indietro e a scegliere «la strada che conduce alle elezioni» - il dossier più importante si chiama: centrodestra. Senza più complemento di specificazione («di governo», «di opposizione»). La ricomposizione della coalizione chiamata a vincere le Politiche del 25 settembre - ritrovatasi allineata sul voto anticipato dopo l'implosione delle larghe intese - ha come stazione fondamentale il vertice dei leader, evocato già dopo i ballottaggi delle Amministrative. Un appuntamento la cui urgenza è dettata dal fatto che mancano poco più di sessanta giorni alle elezioni anticipate.

 

Ieri intanto è stata la volta del "bilaterale" fra il leader di Forza Italia e Giorgia Meloni. L'incontro, tenutosi a Villa Grande, è servito a fissare per la settimana prossima - d'accordo anche con Matteo Salvini - il vertice ufficiale, con l'obiettivo di affrontare «i nodi politici dopo lo scioglimento delle Camere». Il pranzo è stato anche l'occasione per «rompere il ghiaccio»: per riannodare il dialogo in presenza (i due si sono sentiti ultimamente al telefono) fra l'ex premier e la leader dei conservatori dopo mesi di tensioni legate alle divisioni sorte sul Quirinale.

NODI DA SCIOGLIERE
Un incontro «informale ma necessario» dunque, tengono a sottolineare le fonti di entrambi i partiti, dato che per FdI d'ora in poi i vertici devono essere «operativi» e convocati nelle sedi istituzionali: non a caso il summit di coalizione si terrà alla Camera.

I nodi da sciogliere nell'incontro di coalizione sono tanti e delicati. A parte il programma - su cui i rispettivi uffici preposti stanno già componendo le bozze - si dovrà trovare presto un accordo sull'attribuzione dei collegi uninominali (un terzo dei totali). Su questo punto Lega e FI (che dovrebbe accogliere anche i centristi di Udc e Noi con l'Italia) ipotizzano la quota del 33% suddivisa con FdI. Quest' ultimo invece - primo partito della coalizione secondo tutte le rilevazioni - intende ribadire la regola che è stata sempre adottata: le liste si fanno tenendo conto della media dei sondaggi. Tema ancora più spinoso è quello della premiership. Su questo punto - «il meno importante dei problemi» - Berlusconi si è espresso nelle interviste che ha concesso nei giorni scorsi: per il Cavaliere quello da definire «non è un nome» ma «un progetto comune da proporre agli italiani». Solo alla fine del percorso, insomma, si ragionerà «insieme sul nome più appropriato da proporre al Presidente Mattarella come nuovo Presidente del Consiglio». 

 

A proposito di ciò starebbe emergendo pure la proposta - sempre di FI - di far votare all'assemblea degli eletti il leader del centrodestra, dunque il premier indicato. Un'eventualità, come registrano alcuni retroscena, che potrebbe rendere non scontata l'indicazione proveniente dal partito che giungerebbe primo.
Per Antonio Tajani comunque «della scelta del candidato premier se ne parlerà nel vertice». Per ora, secondo il coordinatore azzurro, è importante rafforzare la coalizione: «Prima bisogna vincere, avere una squadra forte e un buon allenamento. Poi chi alzerà la coppa, si vedrà». Su questo punto Giorgia Meloni - anche ieri- ha scelto di non commentare.

REGOLE CHIARE
Ciò che fanno notare ambienti vicini a FdI, però, è un ragionamento che può essere tradotto così:dato che la campagna elettorale sarà breve e intensa, non si può perdere tempo a discutere delle regole che hanno dimostrato di funzionare. E se ciò vale per l'assegnazione dei collegi (con la regola della media dei sondaggi) a maggior ragione deve valere per quella del leader e candidato premier: frutto di un risultato stabilito dagli elettori. Piuttosto che sulle norme insomma - questo il corollario -, il tempo va impiegato per mettere subito il centrodestra nelle migliori condizioni per vincere. D'accordo con Giorgia & co è proprio Salvini: «Il prossimo premier?», ha twittato. «Finalmente lo sceglieranno gli italiani». Anche per il leghista la regola non cambia: «Chi prenderà un voto in più avrà l'onore e l'onere di indicare il nome».

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