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Beppe Grillo, la strategia occulta: ecco cosa vuole fare del M5s

Corrado Ocone
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Anche se da avvocato riesce a dissimulare i propri sentimenti e a usare per ogni abito che indossa la stessa foga argomentativa, deve essere costato non poco a Giuseppe Conte dire che sulla regola dei due mandati non ci sarà alcuna deroga perché Grillo è stato «irremovibile».

 

In un sol colpo, l'ex premier si è visto costretto ad ammettere di non essere il leader vero del Movimento, di cui pure è formalmente capo politico, e a perdere l'appoggio di pezzi da novanta a lui molto vicini come la vicesegretaria Paola Taverna, o con lui alleati come il presidente della Camera Roberto Fico. Il Garante, che svolge formalmente solo lavoro di consulenza (retribuita) per il partito, continua ad esserne in verità il capo assoluto, anzi a considerarsene il padrone e come tale sempre pronto a trattare i suoi, e soprattutto Conte, come meri impiegati. D'altronde, egli aveva cominciato a delegittimare Conte già poco dopo la nomina, dicendo nientemeno che non aveva visione politica né capacità manageriale.

PAROLE PROFETICHE
Parole che, lette col senno dell'oggi, sembrano essere state profetiche: i grillini sono scesi clamorosamente nei sondaggi e hanno perso per strada metà dei deputati e senatori. La domanda da porsi è però a mio avviso un'altra: e se Conte non fosse altro che lo strumento usato da Grillo in quest' ultimo anno, e soprattutto in queste ultime settimane, per attuare un suo non esplicitato disegno, cioè azzerare il Movimento così come è diventato e reinvertarlo nella fisionomia e negli uomini?

Credo che Grillo si sia infatti reso conto presto del clamoroso fallimento della creatura suae diCasaleggioalla prova delgoverno, e anche del fatto che certe percentuali alle urne non erano più ripetibili. Tutti elementi riconducibili alla originaria scelta di “trasversalità”, che non legava a un’idea i suoi esponenti e che, se catalizzava un voto di protesta generico, doveva anche prepararsi a vederlo dissolto in men che non si dica.

 

LAVORO PER CONTO TERZI
L’idea maturata nella testa del Garante potrebbe essere stata allora quella di puntare a un partito più piccolo,ma con un’identità più precisa capace di garantire anche maggiore stabilità interna. Quella identità non poteva essere allora che quella radicale e movimentista delle origini, che avrebbe comunque coperto un’area di protesta presente nel Paese seppure molto caratterizzata a sinistra (no global, terzomondisti, populisti in salsa latinoamericana, e compagnia cantando).

Conte avrebbe potuto gestire questa fase, che indubbiamente creava dissensi e malumori diffusi, fare cioè a sua insaputa un lavoro sporco per conto terzi, per poi, delegittimatosi, essere sacrificato. A quel punto, che forse è arrivato, lo scettro del comando sarebbe stato affidato a esponenti più spendibili o più confacenti alla nuova fisionomia che il Fondatore aveva voluto dare al Movimento (Alessandro Di Battista per esempio) o che semplicemente godessero appieno del suo appoggio e della sua fiducia (e qui il nome che viene subito in mente è quello di Virginia Raggi)? Paradossalmente, ribadire la regola dei due mandati serve sia a spazzare via un po’ di rendite di posizione createsi nel partito sia a trovare altri leader. Oltre ovviamente a rimandare a quelle “origini” che, quando si è voluto, in altri contesti, si sono sacrificate senza troppi complimenti. 

Certo, se questa nostra analisi fosse corretta, in futuro per il Pd sarebbe quasi impossibile allearsi con i populisti di Grillo. Anche se forse Conte potrebbe far dimenticare le sue ultime uscite ed entrare lui nel Partito Democratico, dove ancora ha non poche amicizie.

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