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Pd, addio iniziativa economica privata: il suo modello è il Venezuela

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Andrea Orlando

Iuri Maria Prado
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Non è che provano a farlo di nascosto: lo rivendicano proprio l'ennesimo esperimento di pianificazione venezuelana rivolto all'ulteriore dissuasione dell'iniziativa economica privata. E così, se un'impresa è costretta a smammare di corsa da qui perché perde soldi e vede una prospettiva di tasse bellissime e profitti espropriati, ecco il comunista Orlando, ministro del Lavoro con carriera spianata a Pyongyang, che propone di «costringere le multinazionali a un confronto più serrato, più lungo» (sai quanti ne richiama, di investitori esteri?). Di rincalzo, la versione Erasmus di Rosy Bindi, Debora Serracchiani, che proclama: «Il lavoro si difende così».

 

 

Come? Pronti: con un bell'emendamento «per rendere più difficili le localizzazioni», nella noncuranza verso il dettaglio costituzionale secondo cui l'iniziativa economica privata sarebbe libera, il che non pare esattamente garantito quando uno deve fare impresa se, come, dove e fin tanto che lo Stato ne fa la sua concessione ben guarnita di filo spinato, multe e pizzo sindacale.

 

 

L'idea che si tratti di stimolare la produzione, lo sviluppo tecnologico, la libera concorrenza, la competizione di mercato, e che tutto questo non solo non si ottiene, ma è irrimediabilmente pregiudicato, dalle «condizionalità e sanzioni» di cui vagheggiano, non lambisce neppure le cognizioni ossificate di questi pericolosi populisti della giustizia sociale da gabbio latin-declinista, quello che tiene i redditi individuali al livello di trent' anni fa, anzi più basso, e gli operai a godere dei salari più infimi d'Europa grazie a decenni di retorica operaista. E appunto: la rivendicano pure, quella scriteriata perseveranza. 

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