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Elezioni, agenda progressista e crisi della democrazia: ecco la posta in gioco

Corrado Ocone
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Chi può mai pensare, in questa parte di mondo, che lo Stato di diritto sia un vecchio arnese da mandare al macero? Chi può sperare che l'Italia ritorni all'Antico Regime? Che senso può allora avere evocare a ogni pie' sospinto Orbán a proposito del nostro centrodestra, facendo di Pontida una provincia dell'Ungheria come ha detto senza tema del ridicolo Letta? L'impressione è che Orbán serva da spauracchio e che forse sia stato costruito ad arte, trasfigurando alcuni caratteri discutibili del suo potere. La posta in gioco, in Italia, e soprattutto in Europa, sembra essere di altra natura, e cioè politica. E anche politico-economica nella misura in cui l'Ue dispensa fondi ai suoi Stati membri. Quel che è in gioco non è tanto lo Stato di diritto, ma qualcosa di molto diverso: chi debba governare nel prossimo futuro. E in questo senso il cortocircuito che si crea fra la politica europea e quella delle singole nazioni è evidente. Quattro anni fa riuscì a formarsi per una manciata di voti una maggioranza progressista, tanto che i temi portanti dela Commissione insediatasi sono diventati da allora quelli della sinistra odierna post-marxista: la "rivoluzione verde" e i cosiddetti "diritti". I rischi concreti che questi equilibri possano mutare, nei singoli Paesi e poi a livello continentale, portano la Commissione e la sinistra al potere non solo ad enfatizzare lo scontro in atto, ma anche a spostarlo dal terreno propriamente politico ad uno istituzionale-morale. Si parla con troppa facilità e approssimazione, palesemente con altri fini, di valori e principi inderogabili.

 

 

 

In questo senso l'Ungheria si presta a meraviglia a far da capro espiatorio per qualche altro Paese, l'Italia in primis, il cui peso specifico è molto più consistente. Il perché è presto detto. Orbán governa, democraticamente eletto, da ben sedici anni, e sono tanti anche per il più democratico dei governi. Il potere tende per sua natura non solo a preservarsi ma anche ad allargarsi e a prevaricare se non c'è ricambio. E il leader magiaro in questi anni qualche argine lo ha sicuramente rotto, riducendo il potere di alcuni necessari contropoteri, in primo luogo media e magistratura. Tuttavia è indubbio che i macroscopici difetti del suo sistema fanno il paio con quelli di Stati, come i nostri occidentali, altrettanto imperfetti: si pensi alla giustizia in Italia, al "pensiero unico" dei media, ai parlamenti esautorati.

 

 

 

Certo, questo non vale ovviamente per giustificare Orbán, ma vale per capire il suo caso inserendolo nella più generale e odierna "crisi della democrazia". L'impressione allora diventa che ciò che vuole colpirsi in lui è il suo sistema di valori conservatore, in netta antitesi con un altro sistema di valori: quello dell'agenda pro-gender dei progressisti che è uno dei capisaldi del programma di governo dell'attuale maggioranza. Si tratta di due sistemi egualmente legittimi dal punto di vista dello Stato di diritto, che pretende solo che essi abbiano la possibilità di confrontarsi in un libero agone. Il che però non può avvenire se il confronto viene inquinato confondendo il piano politico con quello istituzionale e delegittimando moralmente l'avversario.

 

 

 

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