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Ignazio Marino: "Non mi inginocchiai e mi hanno ucciso"

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Pietro Senaldi
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«Si sta bene fuori dall'Italia. Avere qualcuno che la sera ti ringrazia per l'impegno anziché insultarti è gratificante».

Come è vista l'Italia dagli Stati Uniti?
«C'è una rivalutazione forte, non ci considerano più solo una terra di straordinaria cultura ma anche di eccellenza in alcuni settori. Non fosse così, l'esercito Usa non avrebbe iniziato ad acquistare gli elicotteri per i marines da Agusta, annullando i contratti con Lockheed».

E la vittoria della destra come è stata presa?
«Le frasi di Joe Biden, che ammoniva gli elettori a non far vincere le destre, come accaduto in Italia, sono state strumentalizzate. Tra un mese ci sono le elezioni di mezzo termine in Usa e il presidente si gioca molto. La sua è solo una dichiarazione pre-elettorale, parlava per scacciare il fantasma di Trump».

Quindi l'America non teme un rischio fascismo in Italia?
«Io penso che nessuno lo tema realmente. Il pensiero della Casa Bianca l'ha espresso il sottosegretario di Stato Usa, Tony Blinken: siamo una forte democrazia. La sola cosa che Washington ci rimprovera davvero, con un'ironia feroce che mi ferisce, è la scarsa stabilità dei nostri governi, dalla quale deriva una strutturale inaffidabilità del Paese».

Questo chiunque governi?
«A parte Draghi, che vanta rapporti e una credibilità personale qui in Usa, sì. Non è che per gli Usa Renzi, Letta o Gentiloni dessero più garanzie di altri. Washington si fidava più di Boris Johnson e di qualsiasi premier britannico rispetto ai nostri».

La Meloni però è altra cosa?
«I repubblicani in Usa hanno gioito per la vittoria della Meloni. Io ho, eccetto che sul presidenzialismo che, se bilanciato, riconoscerebbe quanto già è mutato nella dialettica governo-parlamento, ho una visione profondamente diversa da lei su molti temi. Ma le riconosco un percorso serio, disciplinato e rigoroso al punto da portarla in dieci anni dal 2% a essere la leader del primo partito italiano. Ha un'eredità storica pesante che si porta dentro ma sono convinto che sia la prima a non voler tornare indietro».

Viceversa il Pd è al bivio, non sa se tornare indietro o come andare avanti?
«Io credo che l'elettore Pd sia rimasto disorientato da una campagna elettorale giocata solo sull'antifascismo e i temi etici, che se diventano gli unici argomenti sono il viatico della sconfitta. La destra è riuscita a esprimere una propria visione politica. La sinistra viceversa non ha esplicitato nulla, se non la volontà di conflitto».

Adesso in Italia ferve il dibattito post-sconfitta: sciogliamo il Pd per salvare la sinistra?
«Nel 2009, quando mi iscrissi al Pd per candidarmi alla segreteria, io espressi esattamente questo concetto: già allora aveva del tutto perso il senso della propria missione, il contatto con il Dna storico, diviso sui diritti civili e del tutto assente su quelli sociali».

Chi ha ridotto il partito in brandelli?
«I capibastone del partito, che sono riusciti a distruggere il patrimonio ideologico della Dc e del Pci, dai quali il Pd è nato».

Quindi lei assolve Letta?
«I capi corrente del partito ingaggiano pro tempore una faccia come segretario per poi liberarsene. È la loro tecnica salvavita per continuare a gestire il loro potere anche senza vincere le elezioni. L'errore di Letta è stato non essere un moderno Perseo e tagliare la testa alla Medusa dem, un mostro contornato da serpenti».


Tra un colpo di pedale e l'altro, Ignazio Marino, il sindaco dem che attraversava Roma in bicicletta e che il Pd romano cacciò con una congiura di Palazzo, la consueta tenaglia magistrati-giornalisti stretta dalla direzione del partito, se ne è tornato all'università Thomas Jefferson, a Philadelphia, a fare il chirurgo e l'accademico.

«Anche se vado a Roma almeno tre o quattro volte l'anno, per trovare mia madre, che ha più di cent' anni».
 

L'ha curata bene...
«No, è tutto Dna, non prende nemmeno una pastiglia, scherza il professore, che in Pennsylvania ha avviato il primo corso di laurea doppia in medicina, tre anni in Italia, tre negli States e poi si può immediatamente esercitare in entrambi i Paesi».

Professore, l'America però sta perdendo il proprio ruolo di guida del mondo, e per questo fa le guerre. O sbaglio?
«L'America è da sempre in guerra ma stavolta è diverso. Per la prima volta il conflitto è percepito come vicino e c'è il timore di una guerra mondiale».

C'è chi sostiene che il conflitto ucraino sia stato provocato dagli Usa, che hanno bisogno di indebolire la Russia nel timore che essa si saldi con la Cina e metta a rischio la leadership americana nel mondo...
«Non è una visone del tutto sbagliata. Il surriscaldamento del pianeta renderà a breve totalmente attraversabile il Mare Artico, ricchissimo di risorse minerarie e idrocarburi.
Mosca ha avviato il progetto Vostok Oil e ha già pronte quaranta navi rompighiaccio e tra due anni ne varerà una a propulsione nucleare. Gli Stati Uniti ne hanno al momento solo tre».

Quindi la guerra è sbagliata, hanno ragione Conte e Fratoianni e il Pd sbaglia a sostenerla?
«In Usa gira un video di Biden, allora giovane senatore, che sosteneva che sarebbe stato un errore drammatico permettere l'ingresso di nuovi Paesi nella sfera Nato, perché avrebbe potuto scatenare reazioni belliche della Russia».
 

In tutto questo l'Unione Europea è divisa...
«È trattata dagli Usa come un vaso di coccio. Paga la propria debolezza economica e politica. È stata costretta a rinunciare alle risorse energetiche russe, che erano a basso prezzo, per compensarle con quelle comprate a costi altissimi dagli Usa. E per la prima volta dal 2000 il dollaro ha superato l'euro. D'altronde, se la risposta dei Paesi membri, messi in difficoltà dalla politica estera ed economica di Washington, è farsi concorrenza tra loro...».

La Ue divisa come il Pd attraversato dalle correnti?
«Ahahahahah... Il Pd è un caso a sé. Ci si lamenta di questa legge elettorale, dove quattro segretari decidono tutto il Parlamento ed è tagliato ogni legame di rappresentanza tra l'elettore e il deputato del proprio collegio. Ma il Pd, che la critica, non ha mai voluto cambiare questa legge. Non a caso l'ultima mutazione l'ha fatta il Pd stesso».

Chi vede come segretario dopo Letta, Provenzano o Bonaccini, massimalismo o riformismo?
«Gliel'ho detto, il nome giusto è Perseo: bisogna tagliare la testa di serpenti alla Medusa. Poi si ragiona».

Anche lei, da sindaco, è stato vittima delle correnti del Pd?
«Qualcosa di più. In campagna elettorale avevo detto che avrei scelto le persone sulla base del merito e non delle indicazioni di partito e sotto il palco i dirigenti dem applaudivano. Vinsi e iniziai a farlo, con il risultato di inimicarmi tutto il partito. Molti mi detestarono in silenzio, i più coraggiosi mi fecero presente che la campagna elettorale era finita e avrei dovuto privilegiare le tessere di partito, anche nella scelta dei tecnici».

Inginocchiati o ti sparo, il messaggio è sempre quello?
«Quella frase mi ha rattristato, anche se voglio attribuirla all'eccesso di vino più che al malaffare. Però chi l'ha pronunciata era il capo di gabinetto del sindaco e la dice lunga sui rapporti tra i rappresentanti del Pd romano e una parte della società che non brilla per onestà e legalità. D'altronde io a un tratto mi ritrovai circondato da una serie di politici eletti in Campidoglio che vennero arrestati. C'era anche il presidente del Consiglio Comunale Dem, il politico più votato della città».

Roma è impossibile da governare?
«Sarebbe invece facilissimo farlo. Ma il suo problema è che la classe dirigente, e parlo di magistrati, Vaticano, consiglieri comunali e regionali, intellettuali, imprenditori, parlamentari, dovrebbero lavorare tutti allo stesso obiettivo per farle rialzare la testa, invece ciascuno spinge nella sola direzione dei propri interessi».

Una cagna in mezzo ai maiali, l'ha definita Francesco De Gregori...
«Ahahahahah.. Fuochino. Diciamo in mezzo ai cinghiali».

 Lo dica, quale cinghiale l'ha incornata?
«Io volevo scegliere gli uomini come scelgo i chirurghi, sulla base del merito, perché penso che anche i dirigenti del Pd in sala operatoria preferirebbero trovarsi nelle mani di uno bravo piuttosto che di un amico di corrente o di uno con la tessera in tasca ma scarso...».

E quindi, cosa è accaduto? «Con l'ingenuità e la determinazione del non politico ho toccato grandi interessi, dalla raccolta allo smaltimento dei rifiuti, dalle concessioni edilizie alle società partecipate, considerate come un bottino elettorale. E così mi ritrovai un piccione con la testa mozzata sullo zerbino e buste con proiettili recapitate a casa».

Meglio dimettersi...
«Come ha detto lei non mi sono dimesso: essere cacciato con le firme Dem dinanzi a un notaio è stata una sconfitta. Mi sono sentito come un chirurgo costretto a uscire dalla sala operatoria prima di poter salvare il paziente. Ho avuto il senso della missione incompiuta. Però avevo iniziato a temere per la mia vita».

Aveva paura di un attentato?
«Sarebbe stato troppo clamoroso. Però avevo paura a salire in macchina, temevo un incidente. Avevo toccato affari importanti. Soltanto il business dei rifiuti vale un miliardo l'anno. Ero entrato in aspettativa dalla vita, la qualità era diventata inaccettabile».

Se fosse Perseo, dopo aver tagliato le teste si sposerebbe con M5S?
«Da sindaco volevo farlo, perché i nostro programmi erano sovrapponibili, e suscitai lo sdegno del Pd e di M5S. Come cambiano in fretta le cose... Oggi però i grillini, hanno dimostrato di non essere coerenti, hanno affermato tutto e il contrario di tutto».

E allora da dove deve ripartire il Pd?
«Un cambio di nome, una piccola trasformazione, non servirebbero. Bisogna seguire il consiglio di Alex Langer quando crollò il muro di Berlino: sciogliere e coagulare. Poi si sa, io sono per una svolta massimalista...». 

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