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Giorgia Meloni, il toto-nomi: chi saranno i presidenti di Camera e Senato

Salvatore Dama
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Ufficialmente non ci sono veti tra alleati. Eppure la trattativa nel centrodestra intorno ai ministeri si è incartata proprio su alcune candidature che lasciano perplessa Giorgia Meloni. Però il tempo stringe e urge un chiarimento nella coalizione che ha vinto le elezioni. La settimana prossima il Parlamento è chiamato a eleggere la seconda e la terza carica dello Stato. E il toto-presidenti di Camera e Senato non è una subordinata. E' strettamente legato alla distribuzione delle poltrone ministeriali.
Al momento si ragiona su uno schema del genere. Cioè, che Montecitorio e Palazzo Madama vadano a esponenti di Lega e Forza Italia, visto che la leader di Fratelli d'Italia con l'incarico (scontato) del Quirinale assumerà la guida del governo. Per la Camera si fanno i nomi di Giancarlo Giorgetti e Antonio Tajani. Per il Senato quelli di Roberto Calderoli e Annamaria Bernini. Però c'è un però. Azzurri e leghisti potrebbero essere interessati ad avere un peso maggiore nell'esecutivo, rendendosi disponibili a cedere una delle due presidenze a FdI. In tal caso circolano le ipotesi di Fabio Rampelli e Ignazio La Russa (dato, in realtà, come sicuro ministro).

Ieri Meloni ha riunito il vertice del suo partito. E a proposito della composizione del governo ha mandato un messaggio molto chiaro agli alleati: «Non mi farò imporre nomi che non siano all'altezza del compito, serve un governo autorevole, di persone competenti». Dai listini forniti da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, viene riferito, saranno depennate candidature inserite «a caso», solo «per accontentare qualche corrente o per soddisfare le ambizioni di qualcuno». E se non ci sono persone all'altezza degli incarichi si virerà sui tecnici, pur senza artefare la natura del governo. Che è «politico», ci tiene a sottolineare Meloni, perché è forte di «un mandato popolare» e una leadership. La sua.

 

 

 

 

Già. Ma chi sono questi esponenti "unfit"? Giorgia non ha fatto nomi. Tuttavia, a raccogliere un po' di voci che girano, pare che la trattativa sia andata in stallo intorno a due identikit. Che corrisponderebbero a quelli del leader leghista e della azzurra Licia Ronzulli. Martedì il vertice del Carroccio ha fatto sapere, chiaro e tondo, che punta sul ritorno del Capitano al Viminale. Addirittura Giancarlo Giorgetti si è lanciato in avanti, sostenendo che Matteo è «il candidato naturale» per l'Interno. E Fdi? Francesco Lollobrigida e Fabio Rampelli negano che «ci sia alcun veto». Più esplicito Luca Ciriani: «Potrebbero esserci problemi di opportunità». Perché, al di là del consenso di FdI, mancherebbe l'assenso del Quirinale, che deve nominare i ministri. Sergio Mattarella all'Interno preferirebbe un tecnico o, comunque, un politico diverso da Salvini. Per i noti motivi. Allora la domanda è alquanto retorica: Meloni ha voglia di forzare la mano con il Colle per accontentare l'alleato?

 

 

 

Ecco, appunto. Il caso Ronzulli è curioso invece. Nonostante la senatrice forzista abbia detto pubblicamente di non essere interessata al ministero della Salute, sembrano rimanere inalterate le perplessità in casa FdI. E questo rallenta tutta la trattativa sulle altre caselle da assegnare a Fi. Un malinteso destinato a chiarirsi presto. Forse già a inizio settimana, quando i leader dovranno necessariamente vedersi per chiudere la partita. Un altro stop arriva dall'estero. Bloomberg riferisce che, durante una riunione a Lussemburgo, Fabio Panetta ha riferito confidenzialmente che non sarà il nuovo ministro dell'Economia. Le attenzioni si spostano su un altro tecnico: Domenico Siniscalco. Anche per il dicastero della Salute si fa avanti una soluzione non politica: Gian Vincenzo Zuccotti (segnalato dalla Lega) o Alberto Zangrillo (medico di Berlusconi). Per la Difesa si parla del generale Luciano Portolano, per gli Esteri dell'ambasciatore Giampiero Massolo, per l'Agricoltura del presidente della Coldiretti Ettore Prandini, per l'Università del rettore della Sapienza Antonella Polimeni.

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