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Donzelli, la confessione: "Delmastro mi ha inseguito con una stampella"

Antonio Rapisarda
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Fin dalla sera del trionfo elettorale sarà stato forse l'unico, fra i big, a sperare di restare esattamente dov' è stato in questi anni: ad organizzare Fratelli d'Italia dal civico 39 di via della Scrofa. Nome forte ripetuto in loop nel totoministri - e adesso nel toto-viceministri e sottosegretari - Giovanni Donzelli, l'uomo a cui Giorgia Meloni ha affidato la "macchina" del movimento, ha sempre risposto la stessa cosa: «Mi piacerebbe continuare ad occuparmi del partito». I motivi di questa scelta anti-ciclica, in cui si miscelano romanticismo "da sezione" e un sodalizio con il neopremier iniziato dai tempi del Fronte della Gioventù, li racconta in questa intervista a Libero. Con una premessa: «Con una macchina così complessa, arrivata al 26%, e che vogliamo destinata ancora a crescere non è possibile pensare di stare tutti al governo. Ecco perché sto bene in via della Scrofa».

«Nell'esclusivo interesse della Nazione». Quando l'ha vista giurare così davanti al capo dello Stato, stavolta da presidente del Consiglio, che cosa ha pensato?
«Agli ultimi trent' anni di vita, attività politica, confronti, discussioni ma soprattutto di amicizia. Qui si tratta del traguardo non solo di chi, dieci anni fa, ha fondato FdI ma di generazioni e generazioni di militanti della destra italiana».


È ciò che ha detto a caldo Meloni, dedicando il risultato a chi non c'è più «e meritava di vivere questa nottata».
«Il pensiero di tutti è andato a chi ha fatto la storia della destra: Almirante, Tatarella, Tremaglia, Teodoro Buontempo. E ai nostri giovani caduti per mano dell'odio politico. Ma accanto ai "leoni" della nostra avventura, ci piace pensare alle tante "formichine". A tutti coloro che nella loro vita hanno aperto una sezione, magari in una periferia estrema dell'Italia. O che hanno sacrificato tempo, impegni e famiglia semplicemente per tramandare una storia quando sembrava a malapena un'operazione di testimonianza. La nostra affermazione è frutto di questa catena».

L'ultimo anello è la prima donna premier d'Italia. Un primato, clamoroso, "da destra".
«Giorgia non è solo il primo presidente del Consiglio donna della storia repubblicana. È la prima donna a guida del popolo italiano fin dalla fondazione dell'Urbe. Nella nostra storia, dai condottieri romani all'Italia dei Comuni, dal Rinascimento all'Unità, non c'è mai stata una donna a capo della comunità nazionale. Questo ci onora ma soprattutto manda in tilt la sinistra, decenni di femminismo progressista e di retorica sulle quote rosa. È stata la destra a dimostrare che non servono a niente. Lo ha fatto Giorgia: col merito».


Un primato che non arriva per caso: il primo passo è datato 2004. Quando nel celebre congresso di Azione Giovani a Viterbo...
«Meloni conquistò sul campo la sua prima presidenza. Nessuno dei colonnelli di An di allora, tranne La Russa e Gasparri, tifava per lei: lo stesso leader Fini era schierato con l'altro candidato, Carlo Fidanza. Eppure lei riuscì a conquistare la maggioranza del mondo giovanile. Fu un congresso con dibattiti forti prima e durante svolgimento. Più volte in quell'occasione si rischiò lo scontro: mi ricordo che Andrea Delmastro, con cui oggi sono molto amico, mi rincorreva con una stampella durante quell'assise. Tensioni vere, insomma. Nonostante ciò un minuto dopo la vittoria, Giorgia fu capace di riunire tutti con l'obiettivo di lavorare insieme per tenere unito il mondo giovanile. E così è stato».


E così nacque la generazione Atreju.
«Certo. Se si guarda alla classe dirigente di oggi, buona parte di quelli fra i quaranta e i cinquant' anni che sono in Parlamento erano tutti a Viterbo.
A partire dal neoministro Francesco Lollobrigida e dal braccio destro della leader, Giovanbattista Fazzolari».


Con questa "infrastruttura" siete chiamati a governare nella congiuntura più drammatica. Gli avversari vi accusano proprio di questo: di aver formato un governo troppo identitario.
«Buffa la sinistra. Da quelle parti sono tutti scandalizzati perché Meloni ha presentato un governo di destra. Davvero pensavano di poter indirizzare culturalmente e politicamente l'esecutivo pur continuando a perdere le elezioni? Non gliel'abbiamo consentito. Agli italiani non abbiamo mai nascosto i nostri programmi e le nostre idee Non è un capriccio il nostro: è un preciso dovere fornire un governo chiaramente "di parte" ma di alto livello».


Nei ministeri campeggiano le vostre parole d'ordine: merito, natalità, made in Italy e sovranità alimentare. Anche per la destra le "parole" sono importanti...
«Non è che ci piace giocare con le parole per creare effetti speciali: sono "scelte" di un indirizzo politico preciso su cui si basa una visione della società.
Solo un esempio: "Slow food", che non è certo accusabile di vicinanza alla destra, ha applaudito al richiamo alla sovranità alimentare. E ciò ha dei precisi risvolti economici in tutti i campi: riconoscere il merito, incentivare la natalità e la difesa del made in Italy avrà un effetto moltiplicatore sul lavoro e sulla produzione di ricchezza».

Alla luce di questa agenda un dirigente del suo calibro è visto da tutti gli osservatori nella squadra di governo o giù di lì. Lei invece...
«Reputo che sia necessario restare al partito. Non solo perché- lo dico sinceramente - mi diverte e mi appassiona. C'è un motivo strutturale».

Ossia?
«Oggi Giorgia è amata da tutti. Ma in questi anni abbiamo visto quanto sono volatili i consensi. I partiti, le leadership che si basano sul consenso raccolto con gli slogan sui social quando vanno al governo non scelgono per il bene dell'Italia, scelgono per il bene dei click. Noi vogliamo farlo per il bene dell'Italia e per questo motivo serve quel partito forte che abbiamo ricostruito in questi dieci anni. Un partito chiamato oggi a fare da cinghia di trasmissione fra le esigenze dei territori e il governo. Un soggetto radicato da Nord a Sud, chiamato a spiegare agli italiani e a renderli protagonisti di alcune delle scelte comuni, anche non semplici, che dovremo fare per il bene della Nazione».

A proposito di partito. La mitica sede del Msi e di An oggi quartier generale di FdI - è diventata l'ombelico del mondo politico: addirittura teatro della visita di "ricucitura" di Silvio Berlusconi. Non eravate abituati a tutto quel traffico dentro e fuori...
«Certamente no. Tra l'altro quando ci siamo tornati, circa tre anni fa, quei locali erano in buona parte abbandonati. Per noi ovviamente è un grande onore pensare che proprio nelle storiche stanze della destra italiana si sia disegnato non solo il futuro governo ma il futuro di questa Nazione». 

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