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25 Aprile, la sinistra trasforma l'eccidio di Marzabotto in "festa dei migranti"

 Valentina Cuppi

Giovanni Sallusti
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Dispense di democrazia dalla professoressa Valentina Cuppi, sindaca piddina di Marzabotto, corso accelerato per noi reazionari di Libero. La cittadina emiliana, come si sa, è identificata con uno dei più orrendi crimini nazisti sul suolo italiano. Una settimana di vera e propria caccia alla popolazione civile, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, andata in scena nei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, alle pendici di Monte Sole, provincia di Bologna. Bilancio finale, se ha mai senso usare un termine così asettico per una mattanza così immane: 1830 morti. Ovvio che in quei luoghi il 25 aprile assuma una valenza ulteriormente amplificata. Un momento massimamente unificante della coscienza nazionale, riunita per un giorno attorno alle sue ferite, eccetto gli estimatori inveterati della croce uncinata, che pur con tutto lo zelo progressista non riusciamo a scorgere tra i banchi del governo.
Macché, la dottoressa Cuppi per fortuna ci gira il prontuario del Buon Antifascista 5.0 via intervista (non propriamente incalzante) su Repubblica. La giornalista, pensando di indirizzarla, esordisce così: «Sindaca, quest’anno avete ricevuto rifiuti?».

Ma l’interlocutrice la scavalca immediatamente a sinistra: «Non c’è stato nessun rifiuto perché noi non abbiamo invitato né il presidente del Senato Ignazio La Russa, né il presidente della Camera Lorenzo Fontana, né la presidente del Consiglio Giorgia Meloni». Ovvero, la seconda e la terza carica della Repubblica nata dalla lotta contro il nazifascismo (così ci hanno sempre assicurato, ma forse intendevano solo quando le cariche pendono a sinistra), e la presidente del Consiglio divenuta tale grazie a quel rito delle libere elezioni che intuiamo confusamente (ma siamo cattivi scolari) abbia pure qualcosa a che fare, con la democrazia. Niet, chiarisce la docente di liberalismo: «Gli attuali rappresentanti del Governo possono dire ogni giorno di essere antifascisti, ma devono comunque averlo fatto prima di salire sul nostro palco». Al che, a noi incalliti liberticidi, risuonano le parole estive della Meloni: «La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia da decenni ormai, condannando senza ambiguità la soppressione della democrazia e le infami leggi contro gli ebrei».

 

 

Quindi? Quindi, somari che non siamo altro, il punto non è la professione di antifascismo. Il punto è che bisogna dichiararsi del loro antifascismo: mistico, strabico, mai antitotalitario tout court (durante la commemorazione dell’eccidio nell’ottobre 2019 la sindaca definì «un atto gravissimo» la risoluzione del Parlamento Ue che equiparava nazismo e comunismo, fedele nei secoli alla linea per cui alcuni morti sono meno stecchiti degli altri).

Per avere un’idea di cosa sia il loro antifascismo, la ex presidente del Pd (sì, la stagione Zingaretti fu talmente dadaista da averci regalato anche questo) snocciola gli ospiti di quest’anno: «Il medico soccorritore a Cutro, Orlando Amodeo, il giornalista Marco Damilano e esponenti della ong Mediterranea». E qui noi allievi recalcitranti ci arrendiamo, ammainiamo la bandiera rossa e restituiamo il sussidiario partigiano, rassegnati alla bocciatura in galateo resistenziale. Proprio non ci saremmo mai arrivati, che il miglior modo di commemorare le vittime falcidiate dal nazismo nel 1944, fosse quello di celebrare l’immigrazionismo acritico del 2023 (peraltro responsabile delle vittime di Cutro e più in generale del Mediterraneo ridotto a cimitero, visto l’oggettiva sponda concettuale che finisce per dare all’attività dei trafficanti di esseri umani). Cosa vuole suggerire, questo testacoda di storia passata e ideologia presente?

 

 

Forse, azzardiamo da ripetenti probabilmente irrecuperabili alla causa (la loro, l’unica accettata nella buona società) che chi assegna ancora un valore alla nozione di frontiere e quindi di Sta(sviluppata to -nazione nell’alveo del costituzionalismo liberale, almeno stando alla nostra prima esperienza scolastica) equivale a chi massacrava donne, bambini e anziani nel nome del Reich. In soldoni: Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono come il feldmaresciallo Albert Kesserling, l’infame mandante, e il maggiore delle Waffen-Ss Walter Reder, il bestiale esecutore. Non a caso l’Anpi, nelle vesti della presidente bolognese Anna Cocchi, plaude alla scelta della sindaca: «Troverei inadeguata la presenza di Fontana o di La Russa». Domandina facile facile, dall’ultimo banco in fondo. Chi marchiava come «inadeguato» chiunque non la pensasse come lui, in quei giorni terribili: le vittime o i carnefici? 

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