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Lega, fondi sospetti? Ecco un'altra archiviazione

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Fabio Rubini
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La caccia ai famosi 49 milioni della Lega nei giorni scorsi ha fatto registrare un nuovo buco nell’acqua da parte della magistratura. Anche il ramo dell’inchiesta riguardante l’associazione Maroni presidente è finita con un’archiviazione. Il procedimento, che vedeva indagato l’ex assessore regionale lombardo Stefano Bruno Galli, ha inizio il 10 dicembre 2019 quando poco dopo le 6 del mattino, su ordine della procura di Genova, sette agenti della Guardia di Finanza bussano alla porta dell’esponente politico e altri cinque vanno a Palazzo Lombardia per piantonare il suo ufficio. Galli offre loro la massima collaborazione «chiedo di telefonare e chiamo il mio avvocato, Monica Baruzzo, e poi il governatore Fontana e Matteo Salvini, per avvertirli». Terminato il sopralluogo in casa, i finanzieri chiedono di visionare i registri dell’associazione che sono dal commercialista a Busto Arsizio. «Qui vedono tutte le fatture pagate per i manifesti, l’acquisto del materiale elettorale e gli affitti regolarmente pagati per i Maroni point presenti in tutti i capoluoghi di provincia lombardi». E ovviamente trovano anche le carte che certificano il prestito da mezzo milione e la successiva restituzione. Poi via verso Palazzo Lombardia. Gli agenti, come da prassi, frugano dappertutto, fanno fotocopie e al termine delle perquisizioni, verso le 19.30, a Galli vengono confiscati anche due computer portatili e 26 chiavette Usb. Il reato che gli viene contestato, riciclaggio, comporta una pena detentiva dai quattro agli otto anni.

RIAVVOLGIAMO IL NASTRO
A questo punto vale la pena fare un passo indietro e tornare al 2013, quando in Lombardia il governo regionale guidato da Roberto Formigoni cade anzitempo. Il centrodestra decide di candidare Roberto Maroni, allora sulla cresta dell’onda dopo la sua terza esperienza da ministro. Per catalizzare i voti sulla sua figura, per intuizione dello stesso Galli, “Bobo” decide di schierare anche una lista civica a supporto della sua candidatura. Le campagne elettorali però costano ed ecco che la Lega presta all’associazione guidata da Stefano Bruno Galli 500mila euro. Il Centrodestra vince e proprio la civica risulta decisiva. A metà mandato, come da prassi, arrivano i rimborsi elettorali e Galli restituisce i soldi alla Lega. «Per farlo decido di mandare un mio funzionario a Roma alla Commissione trasparenza della Camera per eseguire quell’operazione con tutti i crismi, senza creare pasticci». In quel periodo, però, le procure di mezza Italia, guidate da quella di Genova, sono alla caccia dei mai trovati 49 milioni del Carroccio e ogni spunto è buono per indagare. Anche in questo caso gli inquirenti cercano un collegamento tra Lega e Associazione Maroni. Collegamento, per la verità, abbastanza semplice, visto che all’epoca Maroni era anche segretario federale del Carroccio. 

 

La storia potrebbe anche chiudersi qui, con l’atto di archiviazione firmato lo scorso 10 marzo. E invece no, perché su questi quasi quattro anni d’inchiesta è calata una coltre di mistero che ha colto di sorpresa anche lo stesso indagato. Il primo colpo di scena si registra quando Galli apprende dal Fatto Quotidiano che «il fascicolo era stato trasferito da Genova a Milano». Un’altra sorpresa c’è quando l’atto d’archiviazione arriva dal tribunale di Monza. Segno che il fascicolo era stato trasferito un’altra volta «senza che io ne sapessi nulla». E non è tutto, perché anche il capo d’accusa nei confronti di Galli è cambiato non una ma addirittura due volte, passando da riciclaggio a peculato e poi a truffa aggravata ai danni dello Stato. «Ma io o il mio avvocato di tutto questo non abbiamo mai saputo nulla. Così come nulla ci è stato comunicato in merito alle indagini e alla loro prosecuzione di sei mesi in sei mesi. Niente, quattro annidi silenzio tombale. E questa è una cosa che trovo abbastanza vergognosa». 

QUANTO FANGO
Anche perché nel frattempo il Nostro ricopriva una carica pubblica «e in tutto il periodo dell’inchiesta sono stato oggetto di linciaggio mediatico. Ricordo che la sera della perquisizione tutti i telegiornali aprirono con la notizia del mio avviso di garanzia. In quei giorni incontravo gente che mi diceva “ma professore cos’hai fatto? Cos’hai combinato?”. E più di una notte mi sono svegliato preoccupato perché rischiavo fino a otto annidi carcere». Per fortuna l’incubo è passato e Stefano Bruno Galli potrà dedicarsi con serenità al suo rientro alla Statale di Milano, dove insegna Storia delle dottrine e delle istituzioni politiche. Un’ultima seccatura, però, lo aspetta. Per recuperare pc e chiavette dovrà andare a Genova. Quel materiale non è stato trasferito, né a Milano, né a Monza. Poco male rispetto all’ennesima dimostrazione che qualche cosa nella giustizia italiana va profondamente riformata. Buon lavoro professore. 

 

 

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