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Sondaggio Noto, "perché ora il Pd...": pietra tombale sulla Schlein?

Pietro De Leo
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L’impressione è che, dal punto di vista dei flussi elettorali, siamo in una fase di stallo. Partendo da questa percezione, Libero traccia un quadro con Antonio Noto, di “Noto sondaggi”. Che spiega: «Quando non ci sono scadenze elettorali rilevanti, gli italiani congelano un po’ le loro scelte».

 

 

 

Fratelli d’Italia e Pd sono i due partiti-guida delle rispe coalizioni. Quali sfide hanno, sul piano del consenso?
Il Pd è passato dal 16%, antecedente alle primarie, a circa il 21 attuale. Ma fa un po’ fatica ad andare oltre. Probabilmente sarebbe necessaria una strategia per individuare un target potenziale per aumentare i consensi. Non basta cambiare solo la leadership. Fdi nell’ultimo sondaggio l’abbiamo attestato al 28%, alle politiche era al 26%. Il suo è un elettorato non solo di destra, ma beneficia di quella quota che in parte nel 2014 alle europee votò il Pd di Renzi e nel 2019 la Lega di Salvini. La sfida è non perderla».

Radiografia degli schieramenti: centrodestra e governo. Con la reazione politica all’alluvione che messaggio hanno trasmesso?
«Il governo col decreto di martedì ha dato risposte alla popolazione, non ho sentito critiche in merito neanche dall’opposizione. Certo farebbe bene a trovare un accordo per nominare un commissario. L’esecutivo ha adottato un pacchetto molto consistente di aiuti e non deve adesso cadere sulla buccia di banana della nomina del commissario. Per eventi del genere il governo non può essere l’operativo sul campo».

Il centrodestra, pur con diverse sfumature, ha scelto l’appoggio pieno all’Ucraina con fornitura d’armi. Ma l’opinione pubblica su questo pare avere più di una perplessità. Perché, allora, la coalizione non cala?
«Perché si sceglie il partito da votare in base non ad un solo fattore, ma a una moltitudine. È vero che circa 1/3 degli elettori di Fdi è un po’ critico sulle posizioni del governo in politica estera. Ma sul piatto si pongono vari aspetti, principalmente quelli economici, tasse, lavoro. La guerra è soltanto uno tra i tanti argomenti. E la bilancia al momento pende in senso positivo».

Altro tema, l’autonomia. La Lega quanto può attendere l’approvazione per non avere dei contraccolpi nel consenso?
«Il problema della Lega è di aver messo il proprio marchio su una riforma che poteva incontrare dei consensi trasversali. Ricordiamo, per esempio, il presidente della Campania De Luca. Dunque, averla resa un obiettivo di partito è stato, secondo me, un errore strategico. Quanto alle tempistiche, credo sia ben noto a tutti che non sarà un obiettivo immediato, ma la cosa si consumerà verso la fine della legislatura».

Fratelli d’Italia ha preso molti voti al Sud. Già questo governo ha superato il reddito di cittadinanza. Se venisse approvata anche l’autonomia, il partito di Giorgia Meloni non rischierebbe di perdere consensi nel Mezzogiorno?
«Sì, rischia, proprio perché, come dicevamo prima, Fdi ha una parte di consenso non fidelizzato e molto fluido».

Forza Italia, invece, nonostante il ricovero di Berlusconi e la sua presenza soltanto “sullo sfondo”, mantiene la sua quota di elettorato. Il partito comincia a camminare con le sue gambe?
«No, è sempre “Forza Berlusconi”. E lui, anche se sta sullo sfondo, tiene sempre unito quell’elettorato».

 

 

 

In base a un vostro recente sondaggio pubblicato su Repubblica, un centrosinistra “campo largo”, ossia compreso Renzi, avrebbe un vantaggio sul centrodestra. Ha senso ipotizzare questo schema con l’opposizione divisa in tre?
«Al momento no. Però se si dovesse approvare una riforma che prevede un premierato, allora avrebbe senso. Perché a quel punto le forze dell’opposizione dovrebbero unirsi. Poi certo, il consenso reale non è mai la somma delle singole forze. Ma possiamo ragionevolmente pensare che, a quel punto, centrodestra e centrosinistra partirebbero alla pari. Molto dipenderà da chi saranno i candidati premier».

Nel Pd, con una segreteria Schlein così orientata a sinistra, quant’è forte il rischio di perdere gli elettori moderati?
«E chi sono i moderati del Pd?».

I cattolici di centrosinistra, per esempio.
«Ormai sono molto marginali. L’elettorato Pd è abbastanza fedele al partito, è uno zoccolo duro. C’è un elettorato entusiasta e un elettorato critico, quest’ultimo rimane, non se ne va, perché vuole il cambiamento dall’interno».

Ma i parlamentari che se ne sono andati?
«Un conto sono i parlamentari, un conto è il consenso popolare. Finora non si è spostato».

Conte fa bene a fare ‘il prezioso’ con Schlein per un’alleanza?
«Entrambi sanno benissimo che il loro destino sarà di unirsi. Ma la politica ha bisogno di tempi maturi. È normale che Conte faccia resistenza. Oggi, allearsi in tutto e per tutto con Elly Schlein darebbe un senso di resa».

Terzo Polo. Quando si litiga costantemente, non c’è il pericolo che gli elettori salutino e non tornino più?
«Assolutamente sì, è una regola che vale per tutti. È bene ricordare che il centrosinistra di Prodi si suicidò per i continui contrasti interni».

L’accelerata di Renzi, nel suo attivismo pubblico e nell’attrarre esponenti del suo “socio” politico Calenda, secondo lei a cosa punta? Strutturarsi per captare il consenso di Forza Italia?
«Potrebbe essere. Ma il gioco politico di Renzi è avere una truppa di parlamentari per essere decisivo in caso di crisi di governo o di difficoltà in un partito di governo. Ha sempre fatto così».

Nella geografia politica il ruolo di Calenda quale potrebbe essere?
«Al momento non lo sa nessuno. L’elettorato di Calenda guarda più all’area del centrosinistra».

Qual è il livello di compatibilità tra Renzi e Italia Viva con il centrodestra?
«Renzi è molto bravo a fare e distruggere compromessi. Quindi potrebbe trovare punti in comune, salvo poi demolire quello che lui stesso ha creato. Essendo al di là delle ideologie, può spaziare da un campo all’altro». 

 

 

 

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