Cerca
Logo
Cerca
+

D'Alema indagato, Giorgio Mulè: "Ci fu una trattativa parallela"

Tommaso Montesano
  • a
  • a
  • a

«Perché i magistrati hanno aspettato tanto?». Giorgio Mulè, attuale vicepresidente della Camera (Forza Italia), è stato sottosegretario alla Difesa tra il marzo 2021 e l’ottobre 2022 (governo Draghi). È lui che nel febbraio 2022, ricevendo una telefonata dell’ambasciatrice della Colombia in Italia- che gli confida dell’interessamento di Massimo D’Alema per conto di Leonardo - solleva il caso dell’intervento dell’ex premier per la fornitura di aerei e navi alla Colombia per un valore di cinque miliardi di euro. Un potenziale affare - mai andato in porto - per il quale D’Alema è indagato dalla procura di Napoli per corruzione internazionale insieme all’ex numero uno di Leonardo, Alessandro Profumo. Una commessa che avrebbe dovuto generare una provvigione complessiva di 80 milioni di euro per i “facilitatori”. E proprio la successione degli eventi non convince l’esponente azzurro: «I fatti sono cristallizzati alla primavera del 2022. Sono passati un anno e quattro mesi...».

 

 

 

Cosa non le torna dell’inchiesta dei pm napoletani?
«Gli accertamenti dell’autorità giudiziaria, a quanto leggo, si basano su informative del settembre 2022. Siamo a giugno 2023. Perché hanno aspettato tanto? Non so che cosa pensano di trovare con la perquisizione...».

C’è una relazione tra questa tabella di marcia e l’avvicendamento al vertice di Leonardo, con Profumo che ha passato il testimone?
«Questo è un dato di fatto. E se ciò abbia guidato l’azione della magistratura non mi permetto di dirlo, ma è un fatto. Come è un fatto che l’accertamento della verità dovrebbe essere il più rapido possibile anche a garanzia degli indagati».

La domanda principale di questa vicenda è: D’Alema ha agito con o senza il consenso di Leonardo?
«Che D’Alema si sia mosso in nome e per conto di Leonardo mi sembra accertato. L’ex premier aveva le brochure del servizio commerciale dell’ex Finmeccanica. La relazione è per tabulas, come si suol dire. Per non parlare del fatto che l’allora responsabile delle relazioni internazionali di Leonardo, l’ambasciatore Sam Fabrizi, è stato avvicendato dopo che la storia è diventata di dominio pubblico».

Vale la pena ricordarla, questa vicenda.
«Fabrizi chiama l’ambasciatore italiano in Colombia per accreditare il “gruppo D’Alema”. Peccato che poi, in conseguenza di un audit interno all’azienda, la sua testa rotoli.
Che ci fosse una trattativa parallela è scontato: se la vedrà la magistratura se ci sono reati».

Lei non sembra ottimista sull’esito dell’inchiesta.

«Vista la complessità dell’indagine, e il capo di imputazione, dubito che arrivi a conclusione in tempi ragionevoli».

Torniamo al ruolo irrituale di D’Alema.

«In uno dei colloqui resi pubblici, saputo della trattativa ufficiale portata avanti dal governo, più o meno dice: “Dobbiamo fare in modo di avere noi i contatti diretti, perché Mulè ci frega”».

 

 

 

L’ex premier vi voleva far fuori?

«Che ci fosse un interesse “imprenditoriale” di D’Alema mi sembra ovvio».

Fa un certo effetto associare al nome di D’Alema, padre nobile della sinistra, la parola “imprenditore”.

«Non desidero definirlo né faccendiere, né facilitatore, ma fa riflettere il comportamento di un ex uomo di governo che sfrutta i suoi precedenti incarichi per fare affari».

Negli Stati Uniti è la prassi.

«Ma avviene tutto alla luce del sole, qui no».

Leonardo ha tenuto il piede in due staffe?

«Certamente. D’Alema di fronte all’ambasciatrice della Colombia si accredita per conto dell’ex Finmeccanica. Quando lei lo ferma, avvisandolo del mio ruolo ufficiale, lui, diciamo, non la prende bene. E mi manda Giancarlo Mazzotta».

L’ex sindaco di un paese pugliese sciolto per mafia...

«Proprio lui: come entra nel mio ufficio, ne esce dopo pochi minuti. Appena esce chiamo il direttore generale di Leonardo, Valerio Cioffi, e gli chiedo: “Cos’è questa storia?” Cioffi cade dalle nuovole e sparisce. Così come, altro fatto, lo scorso 9 maggio Profumo lascia Leonardo».

Questa vicenda sa tanto di pietra tombale sulla presunta superiorità morale della sinistra.

«Non ho bisogno di un’inchiesta giudiziaria per convincermi che la superiorità morale della sinistra non c’è. Non lo pensavo prima, figuriamoci adesso».

 

 

 

Dai blog