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Giorgia Meloni, clamorosa profezia di Albertini: "Dove può arrivare"

Fabio Rubini
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Gabriele Albertini indimenticato sindaco di Milano per due mandati, poi europarlamentare, è stato uno degli ultimi grandi amministratori italiani. Di quelli che avevano il coraggio di decidere e anche di scontentare gli urlatori di professione. I “signori del No” che «hanno una visione della città da Vecchio Testamento...». In una chiacchierata con lui non si corre mai il rischio di scivolare nella banalità. Per questo l’intervista che segue spazia dalla scoperta di Giorgia Meloni come donna di Stato al futuro dell’Europa, passando per la “grana” San Siro che rischia di trasformarsi in un boomerang per Beppe Sala e per l’intera città. Partiamo dal governo.

 

 

 

Che giudizio dà del premier Giorgia Meloni?
«Sarò sincero, sudi lei mi sono dovuto ricredere. Non la conoscevo, se non per qualche fugace incontro istituzionale. Mi ero fatto l’idea di una giovane donna che partendo dalla Garbatella era diventata la leader di un partito. Sudi un suo ruolo governativo, però, ero un po’ diffidente, perché un conto è fare comizi un altro è governare un grande Paese come l’Italia, che resta una delle grandi economie mondiali. Diciamo che io alla guida del Paese vedevo più una figura tipo Mario Draghi...».

In questi quasi dieci mesi di governo le ha fatto cambiare idea?
«Lo ammetto. Meloni si sta dimostrando una personalità di governo. Non dico che sia ancora ai livelli di una Merkel o di una Tatcher, ma fin qui si sta muovendo magistralmente. Per esempio mettendo in riga le componenti interne del suo governo».

A suo giudizio ci sono materie nelle quali sta facendo la differenza?
«La sua politica economica è convincente. Segno del fatto che ha avuto l’intelligenza di scegliere ottimi collaboratori, che poi è uno dei pregi migliori per un leader. Anche sul piano internazionale si sta muovendo bene. Quindi non mi resta che fare ammenda e dare un giudizio positivo sul suo operato».

C’è qualcosa che può andare storto?
«L’unica cosa che vedo è che non tutti i componenti del governo sono al suo livello. Vediamo se queste “seconde linee” riusciranno a tenere il passo o rallenteranno l’azione dell’esecutivo».

Albertini, lei è stato per due mandati europarlamentare. Bruxelles sta vivendo una fase delicata. Forse per la prima volta è in bilico lo storico asse Ppe-Socialisti e per la prima volta potrebbe cambiare il governo e con esso le priorità delle sue politiche. Che idea si è fatto di questa situazione?
«Quella che si concretizzerà con le elezioni del prossimo anno è senza dubbio una sfida avvincente, che oltretutto parte dal nostro governo, che ha saputo tenere assieme la componente più vicina al Ppe e quella che fa rifermento ai conservatori. Replicare un asse così anche in Europa sarebbe interessante, anche se io auspico che alla fine anche la parte meno talebana del partito socialista si ravveda ed entri nella ma ranza di governo».

Le elezioni in Spagna, però, sembrano avere un po’ frenato questa operazione...
«Direi che soprattutto hanno segnato una battuta d’arresto per chi, come Vox, l’Europa vorrebbe smontarla. Più che un freno alla nuova maggioranza mi è sembrato un avvertimento alla Le Pen...».

 

 

 

Lei che pensa di questa Europa?
«Mah, sull’emergenza Covid si è mossa bene. Idem sulla scelta di campo pro Ucraina, che ha ribadito quello che è il nostro sistema di valori...».

Tra i temi più europei c’è quello del clima. Lei strigliò il suo successore Letizia Moratti spiegandole che l’inquinamento non si sarebbe fermato ai confini di Area C. È ancora così?
«Ovviamente sì. Il concetto che l’aria è un fluido te lo insegnano alle elementari... E infatti a Milano magari sono diminuite le emissioni nelle aree in cui entrano meno auto per non pagare l’accesso, ma le concentrazioni di sostanze inquinanti sono rimaste totalmente invariate».

Bruxelles secondo lei è troppo talebana sull’ambiente?
«Le faccio una confidenza. Io ho acquistato un’auto elettrica. Però ogni sera quando entro nel box e attacco la spina della ricarica, non riesco a non interrogarmi su come quell’energia che sto usando sia stata prodotta. Perché vede, se arriva da una centrale elettrica alimentata con combustibile fossile, beh...».

Quindi è sbagliato fare la guerra alle auto come, per esempio, sta facendo al sua Milano?
«Le rispondo così: quando ero vicepresidente della Commissione Trasporti dell’Europarlamento venne fatta una ricerca sulle fonti d’inquinamento. Venne fuori che tutti i trasporti, compreso quello aereo, pesano sull’inquinamento appena per il 23%. Il resto si ripartisce equamente su tre fattori: produzione di energia, produzione industriale e riscaldamento. Tutte aree sulle quali, Milano in primis, non si sta facendo nulla».

Albertini, siamo arrivati alla sua Milano. Prima lei ha parlato di leadership. Quella che sembra essere mancata al sindaco Beppe Sala nel gestire la questione San Siro. Che ne pensa?
«Che ha fatto la politica della rana, quella descritta da Noam Chomsky. A furia di stare inerme e non decidere è finito bollito nel pentolone. E adesso si trova con uno stadio che non riuscirà a gestire. I costi di una struttura così senza Intere e Milan, per un Comune non sono sostenibili. Ma c’è di più...».

Ci dica.
«L’imputazione principale che io faccio a Sala è quella di aver perso l’occasione di riqualificare un intero quartiere, con un investimento privato, ma che sarebbe stato gestito sotto una regia pubblica. Invece lui ha scelto di non decidere, di farsi trascinare dalla burocrazia che come sempre ha optato per il male minore - e infatti è arrivata la Sovrintendenza che con una decisione più che discutibile ha chiuso la partita. A danno della città... Ma non è così che si governa la seconda - anzi, per certi versi la prima, città italiana».

Lei quando era sindaco ha scelto una strada molto diversa. E infatti ci ha regalato il “nuovo cielo” di Milano.

«Esattamente. Quando abbiamo iniziato la trasformazioni ricordo che Baruffi portava i centri sociali a bloccare i lavori e Milly Moratti pagava fior di amministrativisti per darci addosso. Poi, a lavori finiti, se ne sono appropriati e facevano manifesti per far vedere quanto bella era diventata Milano, ovviamente grazie a loro...».

Dal pasticcio San Siro che morale si deve trarre?

«Che chi governa deve ascoltare tutti e poi decidere, anche in contrasto con chi urla più forte ma non ha a cuore il futuro della città». 

 

 

 

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