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Andrea Giambruno? Assalto al governo: sinistra, chi perde la faccia

Tommaso Montesano
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La certezza è che gli rodeva parecchio. E da tempo. Altrimenti non si spiega perché la separazione di una coppia diventa l’occasione per prendersi la rivincita dalle sconfitte nelle urne e in Parlamento. A sinistra qualcuno ha scambiato la fine dell’amore tra Andrea Giambruno e Giorgia Meloni per una nuova tornata elettorale. Il modo per prendersi una rivincita sul mancato conflitto d’interessi, sui migranti non accolti, l’aborto, i “diritti” della comunità Lgbtq+ e pure il “bunga bunga”. 

Il conflitto di interessi. Marco Travaglio ha dedicato allo scoppio della coppia il suo editoriale sul Fatto Quotidiano. Titolo: «Dalla mela alla pesca». E la pesca, a proposito di rivincite, è quella del celebre spot di Esselunga, mai digerita. Comunque: per il direttore la separazione Giambruno-Meloni è nientemento che la dimostrazione di quanto sia necessaria una legge sul conflitto di interessi per Mediaset (che ha messo in onda i video dell’ormai ex compagno di Giorgia: «Finché non verrà risolto quel conflitto di interessi e spezzato quel mostruoso trust finanziario-editoriale, tutto ciò che accade fra Mediaset e il governo sarà letto in chiave politica».

L’immigrazione. Se c’è un’immagine che a sinistra proprio non digeriscono, è quella in cui Meloni sale sul palco a difendere «Dio, Patria e Famiglia». E allora per Annalisa Cuzzocrea, vicedirettore della Stampa, l’amore che finisce è il gancio per scrivere che è tutta la «narrazione» a venire giù. Del resto se la «famiglia» Meloni si rompe - almeno giuridicamente- perché continuare a crederle quando parla del «Dio cristiano», «accolto quando conviene prendersela con il fondamentalismo islamico, ma non quando chiede di dare da mangiare agli affamati, di accogliere chi arriva sulle nostre coste a cercare riparo, di fare di tutto perché non si muoia più in mare»?

 

Le “famiglie arcobaleno”. È l’argomento più scontato. Vi ricorre, tanto per cominciare, Selvaggia Lucarelli, che sul Fatto invita Meloni a «risolvere» la sua «imbarazzante contraddizione»: poiché si separa, la smetta con la «storiella della famiglia tradizionale». Come se la tutela della famiglia fondata sul matrimonio non fosse imposta dall’articolo 29 della Costituzione e confermata dalla Corte costituzionale.

Come se solo un indigente, ad esempio, come osserva ProVita&Famiglia, potesse prendere decisioni a sostegno dei poveri. Poi su Repubblica c’è Chiara Valerio. La scrittrice parte dal «presepe infranto di Meloni e Giambruno» per attaccare le politiche di Palazzo Chigi sui «diritti». Vale la pena riportare il passo centrale per intero: «Penso che un governo che disconosce un’ampia gamma di diritti a famiglie che non sono composte da un uomo e da una donna, e a singoli - transgender, omosessuali, lavoratori senza cittadinanza - che hanno meno diritti di altri ma spesso gli stessi doveri, ignora e dunque lascia morire in mare esseri viventi che cercano asilo o solo un approdo, rende impraticabile l’aborto, che pure è una legge dello Stato (la famiglia ha lo scudo della Costituzione, ndr), e in casa propria ammette per sè tutto o quasi, è un governo che non è affidabile oggi e non lo è in prospettiva». Stop. La legislatura può terminare ora: a determinare che un esecutivo sia «affidabile» o meno non è l’azione di governo, mala vita privata del suo premier. 

 

Il machismo. Si saranno anche separati, Giambruno e Meloni, ma per Tomaso Montanari, rettore dell’università per stranieri di Siena, volto noto de La7, conta poco. «Ma davvero la mascolinità tossica svelata da quei fuorionda è un fatto privato, e non “politico”? E non avrà qualche nesso con una ideologia che pensa che la donna valga solo in quanto produttrice di figli per una patria che si dice a rischio di “sostituzione etnica”?», si chiede enfaticamente su Twitter. E qui il bersaglio diventa Francesco Lollobrigida, ministro delle Politiche agricole, nonché cognato di Meloni, colpevole di aver messo in guardia, lo scorso aprile, dal rischio di una «sostituzione etnica» qualora il tasso di natalità non crescesse. 

Il “bunga bunga”. Dalla «mascolinità tossica» di Giambruno al fu “bunga bunga” di Arcore il passo è breve. Sarebbe stato sorprendente il contrario. Oltre al solito Travaglio, che nell’editoriale citato prima dà del «puttaniere» a B. («chi di famiglia tradizionale ferisce di famiglia tradizionale perisce»), su Twitter Antonello Dose, conduttore radiofonico Rai, preferisce concentrarsi sulle frasi rubate a Giambruno in studio. «La confessione del threesome potrebbe aver violato il codice “etico” di Mediaset e prevede il licenziamento di Giambruno. Il bungabunga invece andava bene. Menomale che Silvio non c’è». E anche la memoria di Berlusconi è sistemata.

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