Fino a che punto è opportuno che Federico Cafiero De Raho, l’ex procuratore della Dna sotto la cui gestione ha fatto sfracelli lo spione Pasquale Striano, continui a sedere in commissione Antimafia? E fino a che punto l’ipocrisia grillina continuerà a difendere l’indifendibile posizione di un testimone chiave dell’inchiesta sul dossieraggio del tenente della Finanza lasciandogli libero accesso a carte che non dovrebbe conoscere?
La risposta la offre lo stesso Cafiero, oggi deputato M5S, il 27 novembre 2024 ai pm di Perugia che lo interrogano come persona informata sui fatti. Il parlamentare ammette, infatti, che nel suo «ruolo di componente della commissione parlamentare Antimafia» ha «preso visione degli atti su cui mi avete fatto la domanda». Dunque, Cafiero (che non è indagato) ha avuto tutto il tempo di studiare le risposte e, da magistrato esperto qual è, di preparare con cura il confronto con gli inquirenti. Se ci fosse stato un politico di centrodestra al suo posto, quanti decibel avrebbero raggiunto le urla dei grillini indignati?
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I pm umbri, in particolare, vogliono sapere da Cafiero se sia mai stato messo al corrente della pericolosità di Striano dal suo vice, Giovanni Russo, autore di una contestata nota informativa (non firmata e non protocollata) che già il 4 marzo 2020 aveva fatto scattare l’allarme sul finanziere infedele. Ed è proprio la relazione di Russo e il suo interrogatorio ai magistrati umbri che Cafiero rivela di aver letto in anteprima. Per liberare il campo, l’ex procuratore nazionale afferma di non aver mai ricevuto alcunché da Russo. E assicura, piuttosto, che in caso contrario «avrei immediatamente autorizzato il dottor Russo ad allontanare Striano» (che, invece, resterà in servizio fino al 2022).
Eppure, come abbiamo scritto negli ultimi giorni, per ben due volte in cinque mesi, tra il giugno e il novembre 2019, Cafiero ha recepito e trasmesso ad altre Procure atti nati da lavorazioni «irrituali» di Sos che non competevano alla Dna, prima sul rogito di casa dell’allora sottosegretario Armando Siri e poi sulle finanze della Lega di Matteo Salvini.
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Il problema è che la relazione di Russo non è firmata, ma è stata riconosciuta come autentica del suo estensore. Che a Perugia ha spiegato: «Come era prassi consolidata per situazioni delicate come questa, io non firmai la relazione per una questione di rispetto al procuratore nazionale antimafia e perché mi riservavo eventualmente di fare modifiche all'esito del colloquio con lo stesso».
Invece, per Cafiero la relazione non è meritevole di considerazione trattandosi di un documento anonimo. Non spiega, però, perché un magistrato serio e scrupoloso come Russo dovrebbe accollarsi la paternità di un documento scottante come quello su Striano. Anzi, suggerisce l'esatto contrario. Per Cafiero De Raho quel documento è una trappola tesa da qualche «manina».
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Per difendere sé stesso, Cafiero alza violentemente il livello dello scontro. Il deputato spiega di aver trovato nella nota delle «incongruenze» che «mi hanno fatto dubitare che il dottor Russo possa esserne l'estensore». E ai colleghi umbri enumera una serie di dettagli che farebbero «pensare che la relazione non sia stata scritta da Russo» (che, invece, sostiene di averla redatta). Le prove? Nel testo sarebbe stato attribuito a Cafiero un provvedimento a firma dello stesso Russo. E ancora, l'ex procuratore cita alcune «stranezze» come l’insistenza di Russo nella difesa di Antonio Laudati (oggi indagato con Striano, ma all'epoca al di sopra di ogni sospetto), a cui Russo fa riferimento con l'appellativo «collega Laudati» invece che con il classico «dottor Laudati» o «sostituto Laudati». Infine, Cafiero sollecita i magistrati ad analizzare meglio la relazione perché ha notato che «i caratteri (tipografici, ndr) della data, del protocollo e del destinatario sembrano siano diversi da quelli utilizzati per il resto della relazione». Per questo, Cafiero passa al contrattacco e domanda ai pm di «accertare se effettivamente l’atto risulta redatto con un pc in uso dal dottor Russo e quando è stato redatto e anche di verificare dove e materialmente il predetto è stato reperito».
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Cafiero, quindi, ritiene che la relazione possa essere stata fabbricata successivamente: da chi? Perché Russo avrebbe dovuto prestarsi a un gioco così pericoloso? E ancora: quando Cafiero chiede di conoscere il luogo in cui è stata ritrovata la nota, dubita forse del suo successore, Giovanni Melillo? È stato questi, infatti, a scovare il documento in alcuni scatoloni della Dna e a trasmetterlo alla Procura di Perugia. Il deputato grillino adombra una macchinazione ai suoi danni, ma non chiarisce fino in fondo perché, davanti a una gestione sconsiderata delle Sos di cui lui stesso si era detto cosciente, non sia mai intervenuto.




