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HIV: il progetto per combatterlo nelle zone più remote dell'Africa

Grazie ad un progetto di Gilead con il Vaticano in un'area a nord della Tanzania, ancora in corso, i cui risultati preliminari sono stati presentati al 16aEuropean AIDS Conference (EACS) a Milano

Maria Rita Montebelli
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Raggiungere i luoghi rurali più remoti dell'Africa per poter diagnosticare e trattare in modo ottimale l'HIV per contrastare quella che altrimenti sarebbe una condanna a solitudine e malattia è il sogno di molti ricercatori, medici, istituzioni e operatori laici e religiosi. Una speranza che può diventare realtà quando si uniscono la determinazione e l'impegno del Vaticano e di un'azienda farmaceutica come Gilead. Lo testimonia un progetto in un'area a nord della Tanzania, ancora in corso, i cui risultati preliminari sono stati presentati nel corso della 16° European AIDS Conference (EACS), a Milano. “Si tratta di un'area della Tanzania relativamente povera con una prevalenza stimata di infezioni da HIV di circa il 7 per cento, contro il 5 per cento del resto del Paese – spiega Anton Pozniak, HIV consulente presso il Chelsea and Westminster hospital di Londra (UK), coordinatore dell'iniziativa – I pazienti che vivono in queste zone rurali devono intraprendere un vero e proprio viaggio per recarsi alla clinica e prelevare i medicinali e questo crea diversi problemi. In alcuni casi devono viaggiare per un'intera giornata, senza contare le spese di trasporto e la perdita di una giornata di lavoro. Devono anche lasciare la famiglia da sola, il che è particolarmente problematico per le donne con i bambini. E quando si sentono bene, le motivazioni per intraprendere il viaggio possono diminuire drasticamente. Al momento sono state testate 50 mila persone, tra le quali il 2,5 per cento sono risultate positive. Ci aspettiamo una maggiore percentuale di infetti quando il numero di persone testate sarà più elevato”. Raggiungere anche queste comunità rappresenta una sfida che Gilead ha raccolto – in collaborazione con la fondazione 'Il Buon Samaritano' di Città del Vaticano e altre Ong cattoliche – creando un programma di ‘test-and-treat'. Lo scopo del progetto, lanciato nel 2015, è quello di portare il trattamento ai pazienti – e non viceversa – e di sottoporre ai test 300 mila persone, introducendo alle cure fino a 20 mila sieropositivi. A questo proposito, l'azienda farmaceutica per cinque anni fornirà un supporto sotto forma di finanziamento per farmaci, dispositivi diagnostici e personale e per la realizzazione di diverse infrastrutture. Inizialmente è stato creato un polo regionale centrale per i servizi specialistici per l'HIV, realizzando al contempo un reparto ospedaliero, un laboratorio, una farmacia e diversi ambulatori. Ora il progetto è stato ampliato sulla base di un sistema hub-and-spoke (‘a raggiera'): 4 ospedali cattolici centrali sono stati organizzati con operatori sanitari, laboratori e assistenza in regime di ricovero, da questi punti di riferimento si diramano i ‘raggi', costituiti da oltre 10 ambulatori e altri centri di assistenza, distribuiti sul territorio delle comunità rurali. In questi ultimi si svolgeranno anche le fasi di test e di avvio al trattamento per l'HIV, al fine di promuovere un'assistenza ‘decentrata'. Persone incaricate dai centri di riferimento si occuperanno poi, con diverse modalità, di trasportare e distribuire i farmaci nei vari villaggi, in modo da evitare i lunghi viaggi di approvvigionamento alle persone che vivono nei luoghi più remoti. Con l'occasione indagheranno anche sullo stato di salute dei vari pazienti, occupandosi di inviarli a un'infermiera per una visita più accurata in caso di necessità. Quest'ultima risolverà se possibile il problema, oppure consiglierà il malato di andare per un controllo più accurato nelle cliniche. Queste ultime, analogamente, provvederanno a reindirizzare agli ospedali maggiori i casi più complessi e seri. “Il progetto è organico e fluido - commenta Pozniack – e diverse soluzioni vengono testate e valutate per efficacia. Tutto viene organizzato nell'ottica della sostenibilità: dopo il periodo di start up di 5 anni il processo deve essere infatti in grado di autosostenersi”. Un progetto di ricerca affianca quello pratico. L'obiettivo è quello di identificare quali sono i modelli di cura che funzionano meglio in Tanzania. Poi valutare se questo modello sia esportabile e sostenibile altrove nel Paese, ma non solo. "Nella lotta contro l'HIV, Gilead guida l'innovazione con i regimi in singola compressa giornaliera – conclude Gregg Alton, executive vice president, Corporate and Medical Affairs - Sappiamo che per contrastare questa malattia l'accesso ai farmaci è fondamentale, in particolare nelle zone africane dove maggiore è la sua diffusione e le risorse sono limitate. Ecco perché abbiamo concesso in  licenza i nostri farmaci per l'HIV ai produttori indiani di farmaci generici mentre collaboriamo con  il Medicines Patent Pool per aumentare la disponbilità dei dei farmaci e garantire costi di cura più bassi in paesi come la Tanzania. La collaborazione con il  Vaticano è stata una naturale conseguenza di questo intento. La Chiesa è un partner affidabile  in tutta l'Africa. Le organizzazioni cattoliche forniscono quasi la metà dei servizi socio-sanitari per il trattamento dell'HIV nei Paesi in via di sviluppo. Se avrà successo, questo progetto rappresenterà una delle più ampie iniziative di ‘HIV Test & Treat' al mondo, condotta secondo logiche di contenimento dei costi”. (PAOLA GREGORI)

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