Cerca
Logo
Cerca
+

C'è un uomo in otto casi su diecia fianco di una donna con tumore

È l'uomo il caregiver più importante quando le donne si ammalano: nell'85 per cento dei casi accompagna la paziente nel percorso diagnostico-terapeutico, secondo prima indagine sul ruolo di mariti, compagni, figli durante il percorso oncologico

Maria Rita Montebelli
  • a
  • a
  • a

La notizia è di per sè abastanza sorprendente: coniuge o convivente, figli maschi o amico del cuore è quasi sempre un uomo che sostiene psicologicamente e assiste nella quotidianità la donna malata. A dirlo l'indagine Doxa 'Il ruolo del caregiver maschile durante il periodo di cura oncologica femminile', promossa da Salute Donna e Salute Uomo con il patrocinio di Fondazione Associazione italiana oncologia medica (AIOM), Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri (CIPOMO) e il sostegno incondizionato di Amgen. La ricerca, la prima e unica in Italia sul ruolo del caregiver maschile, è stata realizzata con il coinvolgimento di 11 Centri oncologici distribuiti sul territorio nazionale e 422 pazienti per capire come le donne affette da tumore affrontano questa delicata fase della loro vita, chi sono le figure su cui le pazienti possono realmente fare affidamento e qual è il loro ruolo. Lo studio, il primo e unico nel suo genere in Italia, ha inteso esplorare il modo in cui le pazienti affette da tumore vivono o hanno vissuto questa delicata fase della loro vita e quali sono le persone che le hanno assistite e su cui hanno potuto fare maggiore affidamento, focalizzando l'attenzione sul caregiver maschile. La ricerca ha sostanzialmente smentito lo stereotipo dell'uomo in fuga di fronte al tumore che colpisce la donna: la figura maschile è una costante nel racconto delle donne, una presenza che cresce nei vari momenti del percorso oncologico: supera il 64,5 per cento al momento della prima diagnosi, sfiora il 92,5 per cento il giorno del primo intervento per incrementarsi ancora, superando il 93,5 per cento, il giorno del secondo intervento. Fondamentale è il supporto del caregiver maschile nelle diverse situazioni e fasi della malattia. L'uomo aiuta la donna ad affrontare le attese, le incertezze (68,2 per cento), a sopportare gli effetti collaterali delle terapie (65,1 per cento); è l'uomo che decide ciò di cui la donna ha bisogno (64,2 per cento) ed è ancora lui a dare un senso a quello che la paziente sta vivendo (57 per cento). Ma l'uomo, che sia coniuge o convivente, figlio o amico, placa l'ansia e le paure, alleggerisce l'atmosfera in casa, pensa a migliorare l'alimentazione e lo stile di vita della donna, si affaccenda per trovare i medicinali e risolvere le questioni lavorative e burocratiche, si fa carico dei lavori domestici e della spesa. «Troppo spesso abbiamo sentito negli anni rumors dei media, e non solo, sul fatto che gli uomini non sarebbero abbastanza presenti quando le loro donne si ammalano – dichiara Annamaria Mancuso, presidente Salute Donna onlus – per capire come stanno veramente le cose abbiamo deciso di promuovere una ricerca focalizzata sul caregiver maschile in oncologia indagando diversi aspetti dell'assistenza: in primo luogo, la presenza, o meno, della figura maschile nel percorso di cura oncologico della donna, poi in quali fasi di questo percorso l'uomo è accanto alla donna e da ultimo come vivono la malattia le pazienti e da chi si sentono più supportate. Il dato più bello e interessante, che non ci ha sorpreso più di tanto, è la presenza costante di un caregiver maschile durante il percorso diagnostico-terapeutico della paziente, che proprio da questo sostegno trae più forza nell'affrontare la malattia e i trattamenti. Nella dura battaglia contro il cancro femminile vince ancora, almeno nel nostro Paese, la famiglia». Metà del campione dell'indagine ha ricevuto una diagnosi di tumore negli ultimi due anni; trattandosi di popolazione femminile, prevale come numerosità il cancro della mammella (63 per cento), mentre il restante 37 per cento delle donne è affetto da altre neoplasie (ovaio, utero, colon-retto, tumori del sangue, melanoma, mieloma, etc.). La maggior parte delle donne del campione ha un'età media di 56 anni; numerose le pazienti sopra i 65 anni (28,4 per cento), elevata la percentuale delle giovani donne sotto i 45 (27,5 per cento). «Il caregiver, ovvero la persona che accompagna e assiste la/il paziente con tumore, ha un ruolo chiave all'interno del nucleo familiare colpito dal dramma della patologia oncologica ma è altrettanto importante anche per gli oncologi che curano la persona malata, i quali devono conoscere la reale affidabilità di questa figura – sostiene Mario Clerico, presidente CIPOMO – ricordiamo che la storia del malato oncologico è strettamente connessa alla sua vita, al suo contesto familiare, sociale ed economico. I risultati emersi dalla ricerca sono davvero confortanti e confermano, per molti versi, ciò che noi clinici osserviamo nella pratica quotidiana: la presenza e l'affetto nella maggioranza dei casi dell'uomo verso la propria compagna in difficoltà». L'indagine rivela inoltre che per una minore percentuale di donne (15 per cento) il principale caregiver è femminile (madre, sorelle, amiche) e che a volte la paziente preferisce non coinvolgere il marito/compagno per motivi di tipo psicologico (non accetta la malattia, non è in grado sostenere il peso di essere coinvolto), di salute o lavorativi. Un dato questo che rivela come sia ancora più importante il lavoro delle associazioni pazienti e di Salute Donna nell'avvicinare le donne malate e non farle sentire sole. «Essere vicino nel percorso della diagnosi di tumore che si cala come un macigno sulla famiglia, nel percorso di cura lungo e fatto di tante attese e lunghi tempi in ospedale, essere vicino nei tempi di follow-up quando ogni esame è un enigma sul futuro del malato, godere della guarigione oppure continuare il percorso in una malattia cronica anche molto lunga, sono tutti i momenti che rendono molto arduo il compito del caregiver – commenta Alessandro Comandone, consigliere della Fondazione AIOM – oggi, con l'invecchiamento della popolazione, assistiamo a due fenomeni un tempo meno frequenti: l'uomo che assiste la donna o entrambi i membri della coppia ammalati di patologia cronica che si assistono reciprocamente e che rischiano l'abbandono soprattutto se non hanno figli o se questi sono lontani. Si tratta dunque di far sorgere una nuova cultura con l'acquisizione del 'sapere curare' e del 'sapere stare vicino' al proprio coniuge o partner ammalato». La ricerca fa emergere un profilo di donna molto forte/forte (90 per cento), in grado di affrontare il momento della diagnosi e la malattia con grande forza d'animo e fiducia, che aumentano nelle pazienti che hanno accanto un uomo (marito, convivente, figlio o amico) e in quelle che lavorano. Appaiono più fragili le donne single, le donne prive di una rete amicale e familiare, le donne che non lavorano. Emerge anche un sentiment, dopo la diagnosi, di cambiamento profondo della propria vita, in particolare nel fisico (76 per cento) e nel modo di pensare al proprio futuro (70 per cento). Dall'indagine emergono altri dati importanti: tra i fattori che trasmettono alle donne malate il coraggio necessario per andare avanti ed affrontare la malattia vi sono sono i figli (28,5 per cento), la fede e la preghiera (17,5 per cento); la spinta a non arrendersi arriva anche dai nipoti, dal voler veder crescere i figli piccoli, da viaggi e hobby, dalla famiglia e dagli amici, dai medici e dalla ricerca scientifica e, non ultimo, dalla speranza di guarire. «L'esperienza comune e i dati di numerose indagini ci dicono che sono soprattutto le donne - con percentuali che variano dal 55 all'86 per cento - ad assistere familiari ammalati, figli, partner o più spesso genitori non autonomi. Questa indagine arricchisce la prospettiva e ci offre finalmente una visione a tutto tondo, mostrandoci il lato nascosto, quello che accade quando è la donna a dover ricevere aiuto e assistenza. È confortante sapere che nella grande maggioranza dei casi le pazienti non vengono lasciate sole ma ricevono dal caregiver maschile il supporto necessario per affrontare la malattia con maggiore forza e determinazione – dichiara Maria Luce Vegna, direttore medico Amgen Italia – Amgen si rispecchia pienamente negli obiettivi di questa iniziativa di Salute Donna, che è coerente con l'impegno di lavorare insieme alle associazioni per migliorare tutti gli aspetti del percorso di cura attraverso l'ascolto diretto delle persone che convivono con la malattia». I dati emersi dall'indagine hanno quindi permesso di dare evidenza ad un aspetto importante e non ancora esplorato del percorso di diagnosi e cura delle donne con tumore.«Lo scopo di questa ricerca è stato quello di raccogliere informazioni per capire come le donne con tumore vivono questa loro condizione e da chi sono supportate – spiega Paolo Colombo, research manager dell'Istituto Doxa – ne è scaturita un'indagine quantitativa di enorme valore proprio in quanto rivolta in modo specifico alla paziente. Doxa non sarebbe mai riuscita a condurre lo studio in tempi così brevi, un anno e mezzo, senza la collaborazione di Salute Donna e dei suoi volontari che sono stati abilissimi nel motivare e coinvolgere i Centri oncologici, i medici e le pazienti. È stato svolto un lavoro articolato e molto delicato, portato avanti a 4 mani giorno per giorno. Il risultato è un insieme di dati che possiamo definire molto robusti». (EUGENIA SERMONTI)

Dai blog