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Difficili le nuove cureper le troppe restrizioni

La Società Italiana di Diabetologia (SID) e l'Associazione Medici Diabetologi (AMD) scrivono all'AIFa per protestare contro le nuove indicazioni prescrittive per le terapie basate sulle incretine

Maria Rita Montebelli
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Le limitazioni imposte alla prescrizione dei farmaci innovativi contenute nel documento AIFA per la prescrizione in regime di rimborsabilità di farmaci basati sulle incretine (inibitori della DPP4 e agonisti recettoriali del GLP1), comportano un peggioramento della qualità della cura per una parte delle persone con diabete ed espongono molti malati a eventi avversi gravi associati alle terapie alternative. Inoltre, l'impatto sulla spesa sanitaria dei nuovi piani terapeutici per le incretine, che si ipotizza nell'intento dell'Agenzia sia quello, condivisibile, di contenere la spesa sanitaria, è opinabile, ma potrebbe addirittura essere contro-producente. Questo, in sintesi, il commento delle organizzazioni scientifiche della diabetologia italiana -  Società Italiana di Diabetologia (SID) e Associazione Medici Diabetologi (AMD) - argomentato in una nota inviata ad AIFa e pubblicata oggi sui rispettivi siti, che esprime il profondo disaccordo in merito ai nuovi piani terapeutici per i farmaci basati sulle incretine, già espresso nell'occasione dell'unico incontro avuto nonostante la ripetuta disponibilità manifestata. Le Società Scientifiche hanno individuato nelle indicazioni prescrittive dell'AIFa una serie di criticità, elencate in dodici punti, che risultano in netto contrasto con quanto stabilito dalle linee guida della terapia del diabete tipo 2 sia italiane sia internazionali. Le restrizioni contenute nei criteri AIFa, motivate con discutibili argomenti scientifici, avranno come ricaduta il peggioramento della qualità di vita per una parte dei pazienti con diabete, esponendo altri, che potrebbero beneficiare delle terapie incretiniche, al rischio di eventi avversi ben noti con i vecchi anti-diabetici orali. L'unica vera motivazione che traspare da norme prescrittive così restrittive è quella economica. Per quanto le società scientifiche di diabetologia comprendano la necessità di contenere la spesa sanitaria, esse ritengono che l'impatto dei nuovi piani terapeutici – seppure non quantificabile tout court – rischi di essere negativo, per il costo legato agli effetti indesiderati delle vecchie terapie. In altre parole, per risparmiare sulla prescrizione delle incretine, si rischia di generare una spesa ben maggiore, legata alle possibili complicanze insite nella somministrazione dei vecchi antidiabetici orali come un numero elevato di accessi ai Pronto Soccorsi e di ricoveri per crisi ipoglicemiche e per le loro conseguenze (fratture, incidenti stradali). In altre parole, AIFa sembra aver tenuto conto solo dei costi diretti legati alla prescrizione dei farmaci, senza minimamente considerare l'impatto dei costi, diretti e indiretti, delle complicanze. Vale la pena ricordare come il costo medio per un ricovero determinato da una crisi ipoglicemica sia di 3.000 euro. Infine, non si può dimenticare come la sospensione della rimborsabilità delle terapie incretiniche nelle persone in trattamento insulinico abolisce un “diritto acquisito” (alle persone già in buon controllo con questa associazione) e rischia di gravare dal punto di vista economico per un ricorso a terapie insuliniche più complesse (e costose) e alla necessità di intensificare il controllo glicemico a domicilio. Nel caso degli agonisti del recettore del GLP-1, inoltre, AIFa sembra contraddire quanto imposto dall'Agenzia europea EMA, che dovrebbe essere l'ente di riferimento di tutti i paesi comunitari. Secondo EMA, infatti, questi farmaci non sono prescrivibili in persone con insufficienza renale. I piani terapeutici al contrario lasciano intendere che essi siano prescrivibili, addirittura allargando i vincoli imposti per le persone senza insufficienza renale. In altre parole, i farmaci sono rimborsabili per persone alle quali non possono essere prescritti, mentre non sono rimborsabili per altri cui potrebbero essere prescritti. Una chiara contraddizione, anche amministrativa. Gli esperti delle società scientifiche fanno notare come, a distanza di anni dall'introduzione delle prime terapie basate sulle incretine, ai diabetologi italiani venga ancora richiesto di compilare un piano terapeutico complesso, che facendo perdere molto tempo, rappresenta di per sé un'ulteriore limitazione, se non un vero e proprio deterrente, alla prescrizione dei nuovi farmaci. Le criticità rilevate. Il professor Antonio Ceriello, presidente AMD, e il professor Stefano Del Prato, presidente SID, chiedono dunque che queste norme prescrittive possano essere riviste così da mettere il nostro Paese al passo con gli altri paesi comunitari. Ecco alcune delle criticità ravvisate da SID e AMD all'interno dei criteri prescrittivi delle terapie basate sulle incretine definiti dall'AIFa. Rimandiamo alla lettura del documento integrale (a seguire) per eventuali approfondimenti. L'emoglobina glicata è un parametro che consente di definire il compenso metabolico degli ultimi 3 mesi, pur se con varie limitazioni (non è utilizzabile ad esempio nelle persone con anemia o trasfuse di recente, mentre può essere falsamente aumentato in presenza di insufficienza renale o di aumento dei trigliceridi). •    Secondo AIFa, le terapie incretiniche andrebbero somministrate solo a pazienti con emoglobina glicata compresa tra 7,5 e 8,5%. Ma le Società scientifiche non sono d'accordo, ecco perché. Secondo AIFa, le terapie basate sulle incretine andrebbero prescritte solo a chi presenta un ‘fallimento terapeutico' cioè il mancato raggiungimento del target terapeutico, con una precedente terapia antidiabetica che, secondo AIFA, corrisponderebbe a un valore di emoglobina glicata superiore a 7,5%. Le Società scientifiche fanno notare che linee guida e raccomandazioni indicano invece la soglia del 7% come livello di intervento, se non un più ambizioso 6,5% da riservare ai pazienti più giovani e senza patologie cardiovascolari associate. •    AIFa ritiene che le terapie incretiniche non vadano somministrate al di sopra della soglia di 8,5% poiché ritenute non sufficientemente efficaci. Gli esperti di SID e AMD sostengono che questa restrizione non risponda a criteri scientifici, dato che la riduzione media di emoglobina glicata è funzione dei valori iniziali; in altre parole, più alti sono i valori di glicata all'inizio della terapia, maggiore sarà la sua riduzione. Inoltre, AIFA non tiene conto che il target glicemico dovrebbe essere individualizzato e non può essere incasellato in un intervallo valido universalmente. Inoltre, dimentica che la riduzione del rischio di complicanze cala per ogni riduzione di emoglobina glicata. •    AIFa sostiene anche che la riduzione di glicata ottenuta con le terapie basate con le incretine sia uguale o inferiore all'1%, mentre in numerosi studi con agonisti del recettore del GLP-1, la riduzione media è stata superiore a 1,2%. •    Nella parte “Limitazioni generali alla rimborsabilità” dei Piani terapeutici per la prescrizione degli agonisti del recettore del GLP-1, analogamente a quelli per gli inibitori della DPP-4, è riportato che “il livello di HbA1c può estendersi al 9% nel caso di … insufficienza renale cronica di grado severo (GFR <30 ml/min)”. Questa rappresenta una rilevante (e potenzialmente pericolosa) contraddizione con quanto riportato nelle indicazioni dell'Agenzia Europea EMA e delle stesse schede tecniche ministeriali di tali farmaci (RCP), che chiaramente indicano come questi farmaci non sono prescrivibili con clearance <30 ml/min. •    Gli esperti delle società scientifiche fanno notare, infine, come questa soglia arbitraria dell'8,5% venga applicata dall'AIFa solo alle nuove terapie. Avere la possibilità di prescrivere solo farmaci in grado di causare ipoglicemie (sulfoniluree e insulina) – avvertono infine le Società Scientifiche - comporta limitazioni per la guida di veicoli commerciali e per l'uso di altri macchinari. Non avere la possibilità di prescrivere farmaci a bassissimo rischio di ipoglicemie, quali le terapie basate sulle incretine, potrebbe rendere impossibile il proseguo della propria attività lavorativa ad alcune persone con diabete nelle quali l'ipoglicemia può essere considerata un possibile rischio per terzi (autotrasportatori, autisti, gruisti, lavoratori su impalcature) comportando limitazioni al rinnovo della patente di guida a molte altre. Nota di commento congiunta della Associazione Medici Diabetologi e Società Italiana di Diabetologia sui nuovi piani terapeutici per le incretine Il nuovo schema per la prescrizione in regime di rimborsabilità di farmaci basati sulle incretine(inibitori della DPP4 e agonisti recettoriali del GLP-1) presenta varie criticità, che elenchiamo di seguito: 1. La soglia di 7.5% di emoglobina glicata (58 mmol/mol), nella definizione del “Fallimento terapeutico” quale Limitazione generale alla rimborsabilità, è arbitraria e in contrasto con la maggior parte delle linee guida e raccomandazioni, che indicano come livello di intervento 7% (53 mmol/mol) nella maggior parte delle persone con diabete, proponendo addirittura obiettivi più ambiziosi (6.5% - 48 mmol/mol) nei giovani/adulti senza malattie concomitanti o complicanze macrovascolari. 2. La soglia di 8.5% oltre la quale non si avrebbe sufficiente efficacia è arbitraria. La riduzione media di HbA1c è infatti funzione della HbA1c iniziale (con i farmaci incretinici maggiore è il valore di HbA1c di partenza maggiore è la riduzione); inoltre, trattandosi di una media, singoli pazienti possono ottenere riduzioni assai maggiori. Sebbene quasi tutti i farmaci per il trattamento dell'iperglicemia riducano la HbA1c di 0.7-1.5%, questo non significa che i pazienti con oltre 9% di HbA1c non possano essere trattati con beneficio clinico. Il messaggio che propongono i nuovi Piani Terapeutici è che esista una soglia di HbA1c (appunto il 7,0%) al di sotto o al disopra della quale il rischio per la salute è rispettivamente assente o presente e che portare la persona con diabete da 8,7% a 7,2% (con una riduzione di 1,5%) sia inutile mentre è utile portare la HbA1c da 7.7% a 6.9% (con una riduzione di 0,8%). Gli studi di intervento dimostrano, al contrario, che la riduzione del rischio di complicanze vascolari (soprattutto microvascolari) si realizza indipendentemente dal livello di HbA1c di partenza o di arrivo, è direttamente proporzionale all'entità della riduzione della HbA1c, e addirittura tendenzialmente maggiore per valori di HbA1c di partenza più elevati (BMJ 2000; 321:405). 3. Non è chiaro perché la soglia di 8.5% dovrebbe essere valida solo per i nuovi farmaci. Come già detto, i vari farmaci per il diabete non differiscono di molto nella capacità di ridurre la HbA1c. Non si capisce perché, con pari efficacia, dimostrata da decine di studi di non inferiorità, la limitazione dovrebbe essere valida solo per i farmaci incretinici. Peraltro, l'affermazione che la riduzione dei livelli di HbA1c con le terapie basate sulle incretine è generalmente inferiore o uguale a 1,0%, presente nei nuovi Piani Terapeutici, non corrisponde a quanto osservato in numerosi studi con alcuni agonisti del recettore del GLP-1, che presentano una riduzione media superiore a 1,2% (Diabetes Care 2010; 33:1255; JCEM 2011; 96:1301; Diabet Med 2011; 28:705; Diabet Med 2009; 26:268; Diabet Care 2009; 32:84; Lancet 2009; 373:473; Diabetologia 2010; 52:2046; Lancet 2009; 4:39). 4. Nella parte “Limitazioni generali alla rimborsabilità” dei Piani Terapeutici per la prescrizione di Exenatide e di Liraglutide, analogamente a quelli per gli inibitori della DPP-4, è riportato il paragrafo: “[…] il livello di HbA1c può estendersi al 9% nel caso in cui sussistano uno o più elementi di fragilità quali l'età >75 anni, l'insufficienza renale cronica di grado severo (GFR <30 ml/min) e/o complicanze e/o patologie concomitanti che riducano l'aspettativa di  vita”. Se ne evince che exenatide e liraglutide possano essere prescritti e rimborsati fino a una HbA1c del 9% se vi è un'insufficienza renale cronica di tale gravità. Questa rappresenta una rilevante (e potenzialmente pericolosa) contraddizione con quanto riportato nelle indicazioni delle Schede Tecniche Ministeriali di tali farmaci (RCP, Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto), che non sono prescrivibili con clearance <30 ml/min. 5. Il valore di HbA1c non sempre corrisponde fedelmente alla media delle glicemie del paziente. In un soggetto con anemia cronica, trasfuso di recente o affetto da emoglobinopatie (quale una condizione talassemica, patologia a elevatissima prevalenza in alcune aree e regioni del Paese), una soglia di HbA1c 7.5% corrisponde a un grado di compenso glicemico nettamente peggiore rispetto a un soggetto non affetto da tali condizioni. Di contro, il valore di HbA1c può risultare falsamente aumentato in presenza di insufficienza renale, alcoolismo, ipertrigliceridemia. 6. Quanto sopra contrasta con le linee guida e le raccomandazioni delle principali società scientifiche a livello internazionale, che indicano che la terapia del diabete deve essere personalizzata, essendo la risposta dei singoli pazienti assai variabile in base alle loro caratteristiche cliniche (Diabetes Care 2012, 35:1364; Standard Italiani di Cura del Diabete Mellito, 2010). L'imposizione – di fatto - di una o due classi di farmaci a scapito delle altre riduce la possibilità per molti pazienti di ottenere cure pienamente adeguate per le loro esigenze. 7. La prescrizione di farmaci capaci di indurre ipoglicemie gravi comporta limitazioni per la guida di veicoli commerciali e per l'uso di altri macchinari. La mancata possibilità di utilizzare farmaci alternativi a sulfoniluree e insulina, per coloro che non possono permettersi di acquistarli personalmente, renderà impossibile ad alcune persone con diabete con rischio professionale per possibili ipoglicemie (ad esempio, autotrasportatori, autisti, gruisti, lavoratori su impalcature) di proseguire la propria attività lavorativa, e limiterà il rinnovo della patente di guida a molti altri. Il rischio di ipoglicemie rappresenta quindi un elemento che può togliere alla persona con diabete opportunità lavorative, limitarne la libertà di movimento e peggiorarne la qualità di vita. 8. Il punto 3 della parte “Precisazioni” (Rischio di ipoglicemie) è tendenzialmente in contrasto con il punto 1 (HbA1c > 7.5%). Se un paziente in terapia con sulfoniluree presenta degli episodi di ipoglicemia, con una HbA1c<7.5%, sembra che inibitori della DPP4 e agonisti del GLP1 non possano essere prescritti in sostituzione della sulfonilurea, in quanto il punto 1 non è soddisfatto. L'unica possibilità allora è quella di sospendere la sulfonilurea e attendere che la HbA1c risalga oltre 7.5, sperando che non superi 8.5%. Questa modalità comporta una inutile esposizione del paziente ad una fase di iperglicemia, con rischio di scompenso. 9. Il documento fa riferimento a valutazioni di costo-efficacia. Non siamo a conoscenza di valutazioni sui costi diretti relativi alle terapie incretiniche e ai farmaci alternativi effettuate in Italia. In particolare, sarebbe interessante conoscere quale è l'effetto dell'uso delle sulfoniluree e dell'insulina, in alternativa alle incretine, sul costo per l'automonitoraggio della glicemia, sugli interventi sanitari per ipoglicemia e sui ricoveri (per ipoglicemia o per altri motivi). Esistono dati italiani che dimostrano l'elevato costo dei ricoveri per ipoglicemia, circa 3000 Euro per paziente ricoverato (Diabetes 2013, 62S1:A332) e nella sola Puglia 5,58 per 1000 persone-anno, di cui il 49% in terapia solo orale (evidentemente non incretinica) si ricoverano per ipoglicemia (Diabetes 2013, 62S1:A589). Sarebbe paradossale se, per favorire l'uso di farmaci meno costosi, si determinasse, oltre ad un peggioramento della qualità della cura, anche un aumento della spesa sanitaria complessiva. 10. Secondo il nuovo schema di prescrizione, non è più rimborsabile l'associazione con insulina (per es., l'associazione insulina + sitagliptin, autorizzata da EMA e AIFA, e rimborsabile fino a dicembre 2013). Secondo quanto riportato nel paragrafo “Limitazioni alle indicazioni terapeutiche” a giustificazione della restrizione, l'analisi costo-efficacia a lungo termine di tale associazione non è ancora ben definita. Le Società Scientifiche scriventi fanno presente come siano disponibili evidenze di efficacia, tollerabilità e addirittura di vantaggi economici (correlati alla riduzione del dosaggio dell'insulina e alla diminuzione del rischio di ipoglicemie) per tale associazione terapeutica; inoltre, le terapie incretiniche rappresentano attualmente l'unico strumento farmacologico a disposizione del medico per contenere o ridurre l'aumento di peso associato alla terapia insulinica. È curioso a questo proposito rilevare come tali evidenze fossero state ritenute sufficienti fino all'autunno scorso mentre non lo siano più nei nuovi Pianti Terapeutici, non risultando pubblicati – a quanto a noi noto – nuovi studi con evidenze opposte rispetto a quelle succitate. La non rimborsabilità dell'associazione con insulina pone evidentemente il nostro Paese, per tradizione all'avanguardia nella cura del diabete e nella ricerca su questa patologia, in una condizione di evidente emarginazione rispetto al resto dell'Europa. 11. In relazione al punto precedente, si genera la surreale situazione di dover cambiare una prescrizione terapeutica (incretine con insulina) a individui in buon compenso glicemico per effetto della stessa, e quindi indipendentemente dai risultati ottenuti; tutto questo a meno che la persona con diabete non sia disposta a pagare tale terapia di tasca propria, generando un'inedita disparità di accesso alle cure sulla base delle condizioni economiche individuali. Una chiara introduzione di disparità di cure sulla base del censo. 12. Più in generale, l'obbligo di prescrizione attraverso Piani Terapeutici on-line sempre più complicati, con differenze di rilievo tra i diversi farmaci appartenenti alla classe delle incretine, crea un ovvio deterrente che limita enormemente la possibilità di prescrizione di questi farmaci, ostacolando di fatto la fruibilità delle cure da parte dei pazienti e limitando la tutela della salute dei cittadini in relazione al diritto di accesso universale alle terapie. Tra le conseguenze di tali limitazioni, vi è la concreta probabilità che si tollereranno valori glicemici più alti del normale o che aumenti la prescrizione di farmaci gravati da maggiori effetti collaterali e con costi complessivi analoghi (intensificazione dell'automonitoraggio glicemico, cadenza più elevata di visite di controllo, maggior rischio di ricovero per ipoglicemie, ecc.). In aggiunta a quanto sopra indicato, esistono alcuni punti in cui il testo non è chiaro o di difficile interpretazione. In particolare: a. Al punto 1, si attesta che i farmaci in questione possono essere prescritti soltanto in caso di “Fallimento terapeutico (HbA1c 47.5%) alla dose massima tollerata della terapia ipoglicemizzante corrente e dopo adeguata e documentata modifica dello stile di vita (dieta e attività fisica)”. Al di là dell'arbitrarietà della soglia di HbA1c (vedi sopra), la dizione “terapia ipoglicemizzante corrente” è ambigua. b. Allo stesso punto 1, non si capisce bene come si dovrebbe documentare la modifica dello stile di vita: se ciò che deve essere documentato è l'intervento terapeutico, i pazienti che non possono accedere a strutture che forniscano adeguati programmi di educazione terapeutica, già svantaggiati rispetto agli altri, si vedrebbero precludere anche la possibilità di accedere alle terapie innovative, aggravando la disparità di trattamento. Qualora si intenda che si deve documentare l'avvenuto mutamento dello stile di vita, ciò significa condizionare l'erogazione delle cure al comportamento del paziente; secondo lo stesso principio, si dovrebbero, ad esempio, negare le cure per la cirrosi epatica a chi continua ad assumere alcool, o le cure antitumorali a chi continua a fumare. Nel complesso, le disposizioni contenute nel documento sembrano essere dettate da una lettura selettiva ed incompleta delle evidenze disponibili, non confrontata con la pratica clinica. Se l'intento è quello (condivisibile) di contenere la spesa sanitaria, occorre che si tenga conto di tutti i costi, o almeno di tutti i costi diretti, e non soltanto di quelli direttamente dovuti all'acquisto di farmaci. E' infatti possibile (ed in questo caso probabile) che la scelta del farmaco meno costoso generi altri costi, maggiori del risparmio ottenuto, tanto da provocare un danno all'erario. La spesa per farmaci per il diabete rappresenta meno del 10% dei costi diretti per la cura nei pazienti diabetici: una percentuale rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi anni, mentre è progressivamente aumentata quella legata ai costi dei ricoveri (Osservatorio ARNO Diabete. Rapporto 2011 Volume XVII - Collana "Rapporti ARNO"). La decisione di promuovere l'uso di sulfoniluree ed insulina quali farmaci di seconda istanza, che deriva da questa disposizioni, comporta un aumento della spesa per automonitoraggio domiciliare della glicemia (attualmente circa uguale a quella per i farmaci per il diabete) ed un aumento del costo per interventi di urgenza, accessi al pronto soccorso e ricoveri per le ipoglicemie e le loro conseguenze (N Engl J Med 2011, 365:2002; Exp Clin Endocrinol Diabetes 2010, 118:215). Inoltre, l'uso di sulfoniluree ed insulina si associa ad aumento di peso, che genera ulteriori costi sanitari (Health Technol Assess 2010, 14:1). Occorre poi ricordare che esistono dubbi crescenti sulla sicurezza sul piano cardiovascolare delle sulfoniluree. Una recente review della Cochrane Collaboration (Cochrane Database Syst Rev 4:CD009008, 2013) ha concluso che non ci sono dati di sicurezza sufficienti per raccomandare la prescrizione di sulfoniluree. È quindi presumibile che le forti limitazioni sulla prescrizione di incretine possano generare un incremento marcato di prescrizione di insulina, più che di sulfoniluree, con effetti sui costi opposti a quelli auspicati. Si ritiene inoltre molto grave il fatto che a tutt'oggi non sia disponibile il piano terapeutico on line. La lunga (e per molti aspetti di opinabile utilità) raccolta di dati obbligatoria per la prescrizione è assolutamente inutile se non si è in grado di utilizzare in qualche modo i dati stessi. Certamente i dati in cartaceo non sono utilizzabili. In conclusione, le limitazioni imposte alla prescrizione dei farmaci innovativi, così come configurate nel documento AIFA, comportano un peggioramento della qualità della cura per una parte delle persone con diabete ed espongono molti di essi a eventi avversi gravi associati alle terapie alternative. L'impatto sulla spesa sanitaria si tali limitazioni è ignoto e potenzialmente negativo.

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