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Coronavirus, con i no vax si torna al Medioevo: ignorano metodi e risultati della ricerca

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Francesco Carella
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C'è un filo rosso che unisce gli ambientalisti e il movimento dei no vax: il primitivismo. Gli uni e gli altri ignorano i meccanismi attraverso i quali nel corso dei secoli l'Occidente è riuscito ad avere ragione sulla natura ponendo le basi della società moderna, caratterizzata dalla distinzione fra "stato naturale" e "stato culturale". Il punto culminante viene raggiunto quando con la rivoluzione tecnico-scientifica di scuola galileiana cambia totalmente la visione che l'uomo ha del mondo e dei suoi rapporti con la natura.

Quest' ultima smette di essere interpretata in chiave magica per divenire oggetto di analisi razionale e cifra della civiltà occidentale. Checché ne dicano i critici della modernità la scienza fornisce all'umanità le condizioni per compiere quei salti in avanti che non era riuscita a fare nei millenni precedenti. Basti ricordare la scomparsa di malattie un tempo endemiche, per tacere della produzione di beni di qualità fruibili dalla stragrande maggioranza dei cittadini.

 

 

 

A questo punto, non si possono evitare alcune domande. Quali sono le ragioni in forza delle quali milioni di persone continuano ciecamente a credere che il riscaldamento globale dipenda dall'attività industriale, escludendo a priori la possibilità che esso sia da mettere in relazione ai cicli naturali? In tale direzione, si rivolgono le ricerche di William F. Ruddiman docente di scienze ambientali all'Università della Virginia - il quale sostiene che il global warming abbia avuto inizio circa 8.000 anni fa, dopo l'introduzione della pratica della deforestazione e la nascita dell'agricoltura. Ipotesi che viene scartata dagli ambientalisti ancor prima di averne appreso i particolari.

 

 

 

Coloro che si ostinano a non vaccinarsi, in base a quali conoscenze specialistiche si dicono convinti che il vaccino faccia più danni del Covid ? È assai probabile che simili posizioni siano soprattutto (in Italia lo si può affermare con certezza) il portato di un percorso scolastico in cui brilla, per la sua assenza, la cultura scientifica. D'altronde, molti insegnanti, pontificando sulle responsabilità del capitalismo circa l'aumento dell'emissione di CO2 e rifiutando di sottoporsi alla vaccinazione, sono la dimostrazione che chi dovrebbe introdurre i giovani alla conoscenza dei metodi razionali non possiede gli strumenti elementari per farlo. Tutto questo rende difficile il già complesso rapporto fra scienza e uso pubblico della stessa. Infatti, in un sistema di democrazia liberale, il consenso dei cittadini gioca un ruolo fondamentale anche nell'accettazione della verità scientifica.

Si pensi alle difficoltà che il governo incontra dopo due anni di pandemia nel decidere di rendere obbligatoria la vaccinazione anti-Covid, nonostante la correttezza costituzionale di una scelta in tal senso. L'attività scientifica procede, per dirla con Karl Popper, «secondo tentativi ed errori», formula «ipotesi a causalità multipla» e non «possiede mai certezze assolute e definitive». In ragione di ciò, la risposta da dare sia agli ambientalisti che al popolo dei no vax non può che arrivare da una paziente triangolazione fra gli scienziati, una pubblica opinione dotata di consapevolezza critica e una classe di governo pronta ad assumersi la responsabilità di decidere in nome del bene supremo, ovvero la salute collettiva. Più facile a dirsi che a farsi, ma non farlo significa condannarsi a un nuovo Medioevo. 

 

 

 

 

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